FAR EAST FILM FESTIVAL 13: “Buddha Mountain” di Li Yu
FAR EAST FILM FESTIVAL 13: “Buddha Mountain” di Li Yu. Li Yu è alla sua quarta opera, e la maturità della narrazione l’ha spinta verso un linguaggio delicatamente ellittico, con inquadrature spesso instabili ad inseguire i moti dell’animo dei ragazzi. A cura di Rita Andreetti.
“Nothing is easy. It’s such a big world. Who cares about us?”
Questo è un film sulle vite malconce di tre amici, legati dalla difficoltà di sopravvivere senza lavoro e senza obiettivi e dai numerosi problemi famigliari: Nan Feng (una stupenda e ipnotizzante Fang Bingbing), Ding Bo e Fei Zao, Fatso per gli amici. I tre ragazzi sono costretti a cambiare casa e affittano da una cantante d’opera in pensione, la signora Chang Yueqin, vedova e segnata dalla morte del figlio giovane e dal suo doloroso ricordo sempre presente.
Con interpretazioni educatamente caratterizzate e commossa rassegnazione, i quattro affronteranno, ognuno a proprio modo, un viaggio di crescita ed espiazione delle colpe e dei rimorsi, che li porterà a Buddha Mountain, teatro nel 2008 di una scossa di terremoto che l’ha reso un ambiente fantasma. In questo contesto paradisiaco, dove il verde viene interrotto solo dalla foschia, si adopereranno tutti per la ricostruzione di un piccolo tempio.
Li Yu è alla sua quarta opera, e la maturità della narrazione l’ha spinta verso un linguaggio delicatamente ellittico, inquadrature spesso instabili ad inseguire i moti dell’animo dei ragazzi. Perché in effetti in Buddha Mountain avviene una crescita e uno scontro tra due modi di vivere: i ragazzi, un po’ inetti un po’ sopravvissuti, a tratti ladruncoli ma dal cuore onesto, trascorrono le loro vite oziando e assaporando al meglio le piccole gioie. Il loro train de vie è ben riassunto dalle lunghe sequenze dedicate ai viaggi abusivi in treno, in cima ai vagoni merci, col vento che scompiglia i capelli e la possibilità di urlare a squarciagola: destinazione Buddha Mountain, e per il ritorno chissà.
A tenere a bada la loro frenetica incontenibilità, la signora Chang Yueqin, posata e controllata, metodica e ordinata, ma lacerata al suo interno dal dolore, fino all’isteria. Mozzafiato è la sequenza in cui la donna decide di uccidersi e l’occhio della camera entra nella pozza di sangue del lavandino, per passare al suo braccio penzolante sulle spalle di Ding Bo, che la trasporta insieme agli altri, in una corsa frenetica per la salvezza, in ciabatte e petto nudo, imbrattati di sangue.
In questo film riflessivo, dai ritmi cauti, talvolta pesanti, si intreccia anche una storia d’amore che fatica ad esprimersi tra Nan Feng e Ding Bo: lo spettatore si adagia senza troppi scossoni, come se fosse cullato morbidamente nell’intima onestà del rapporto di amicizia tra i tre ragazzi e poi nella realtà del loro sentimento germogliato. Così come accompagna la cantante d’opera al suo destino, dopo averla lasciata sostituire i genitori di tutti e tre e averle fatto capire fino in fondo la sua incredibile pochezza di fronte al destino: ed è questo il finale che sceglie Lin Yu, spirituale, fatalista forse, ma sicuramente più consapevole dell’identità e della verità di ogni singola emozione e ogni attimo di vita che i quattro personaggi portano avanti.
Rita Andreetti
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