Dark River è la seconda opera di fiction della regista Clio Barnard, autrice anche della sceneggiatura di questo dramma ambientato nella campagna dello Yorkshire inglese.
Dopo la morte del padre, Alice Bell (Ruth Wilson) ritorna alla fattoria familiare dopo quindici anni a girovagare per il mondo come fattrice alla tosatura delle greggi di pecore. Si riaccendono tragici ricordi in Alice delle violenze incestuose subite dal padre Richard (Sean Bean) e il difficile e burrascoso rapporto con il fratello maggiore Joe (Mark Stanley).
Dark River è un’altra opera di una regista che mette in scena la violenza sulle donne in questo 35° Torino Film Festival: Alice è rimasta traumatizzata e la figura del padre le riappare come un incubo incistato nella mente che le impedisce di mettere piede nella casa padronale, costringendola a rifugiarsi nel capanno dei concimi che lei riadatta come “casa” dove poter vivere. Il passato è un continuo ritorno, un “fiume scuro” che scorre nelle sue viscere, un perenne fluire carsico di dolore mai superato che blocca Alice nei rapporti con gli uomini e crea una continua tensione con il fratello. Lo scontro con Joe arriva al punto di contendersi la gestione della fattoria malridotta a causa del disordine nella vita del fratello, che ha dovuto anche occuparsi da solo del padre malato.
La Barnard utilizza tutti gli stilemi classici del (melo)dramma, mettendo in evidenza il non detto, l’incapacità di comunicare i sentimenti tra fratello e sorella. Alice si sente “rotta” nell’intimo, vittima non solo di un padre-padrone, la cui presenza fantasmatica aleggia nella sua assenza fisica, ma anche dall’indifferenza del fratello, rinfacciandogli – in uno dei dialoghi più drammatici – il fatto che lui non abbia mai fermato il loro padre. Joe, dal canto suo, in modo distorto, accusa la sorella che lei non abbia mai detto di no, vedendola persino andare nella stanza del genitore. Chiedendole il motivo del comportamento ambiguo ai suoi occhi di maschio tradito dall’amore fraterno, Alice gli confessa che l’attesa di quando la violenza poteva accadere – in qualsiasi momento – la facesse impazzire e quindi la spingeva a prevenirla concedendosi.
Il percorso tortuoso, malato, all’interno di un nucleo familiare dove la donna è succube del potere sessuale dei maschi, porta Alice a uccidere, nella classica notte tempestosa, un funzionario venuto a prendersi gli oggetti in casa, in un momento in cui vede il volto del padre violentatore. Joe ha ottenuto l’amministrazione della fattoria dal governo locale e l’ha ceduta per ottenere un facile guadagno e sbarazzarsene pur di non lasciarla alla sorella, compiendo un’ulteriore violenza nei suoi confronti. Alla fine, vinto dai sensi di colpa per quello che Alice ha dovuto subire, si accolla l’omicidio dell’uomo.
In Dark River la Barnard sceglie un taglio nella messa in quadro che alterna i paesaggi dello Yorkshire, dove le pecore pascolano in libertà, con gli interni della fattoria. Altro luogo è un laghetto naturale alla base di una piccola cascata nelle campagne vicine, oasi geografica atemporale, dove, metaforicamente, Alice s’immerge non solo per bagnarsi, ma per ripulirsi dei cattivi ricordi che la tormentano e che sono alternati in flashback muti con il presente diegetico. Pur utilizzando i campi lunghi per inquadrare le scenografie naturali, in Dark River si respira costantemente un’atmosfera claustrofobica e angosciosa, che rispecchia lo stato d’animo della protagonista.
La scrittura è densa, a tratti fin troppo satura, in contrappeso con una messa in scena fatta in sottrazione dalla regista inglese, che non sempre funziona e risulta pedante e ripetitiva, in uno sviluppo narrativo bloccato fino all’inevitabile – e scontato – finale, dove Alice – forse – riesce a fare i conti con se stessa e con il passato.
Pur risultando un’opera con un tema interessante, Dark River sconta un impianto quasi televisivo, riducendone l’estetica melodramma35 torino film festival35 torino film festivalche viene spesso immolata a un coté melodrammatico a tratti irrisolto, e alla fine, le potenzialità cinematografiche implodono da una scelta registica ordinaria. Una delle note positive di Dark River è la recitazione accorata di Ruth Wilson (già vincitrice di un Golden Globe) che esprime tutto il dolore del personaggio con una recitazione empatica e dalla ricca mobilità del volto.