L’incredibile vita di Norman (Oppenheimer Strategies), o per meglio dire “la moderata ascesa e tragica caduta di un faccendiere di New York”, l’ultimo film di Richard Gere, ambientato nella caotica e familiare Grande Mela, racconta la disperata e tragicomica ricerca di Norman, un affarista (o per meglio dire, un traffichino), di una svolta capace di cambiargli la vita.
La maggior parte del tempo cammina e , soprattutto, parla, o al telefono, rigorosamente con auricolari, o con le persone che decide di pedinare, seguire, avvicinare e conquistare. Attirare la loro attenzione con favori più o meno utili, per conquistare la loro fiducia e, infine, stringerci un patto – sempre più o meno – duraturo, capace di garantirli qualcosa in futuro.
Una vita precaria, certo, ma Norman è un uomo che non sembra mai toccato dall’incertezza. Un giorno incontra l’uomo giusto, un parlamentare israeliano a cui fa un grosso favore e che di lì a qualche anno diventa primo ministro. A quel punto la vita di Norman cambia, finalmente tutti i veri potenti che prima gli sbattevano la porta in faccia ora sono costretti a tenerlo in considerazione. Eppure, l’investimento più importante della sua vita, si rivela essere la causa dei suoi guai più grossi.
Le relazioni che, dall’incontro con il parlamentare israeliano inizia a intessere con la grande comunità ebraica di New York, fanno di Norman un nodo fondamentale ma svelano anche la sua vera natura. Una commedia profonda e intelligente, capace di raccontare molto di più di quanto il film stesso dichiari nei suoi intenti.
Il personaggio di Richard Gere, un uomo che si carica volontariamente sulle proprie spalle qualsiasi tipo di problema, impiegando tutto sé stesso pur di risolverlo; apparantemente desideroso di entrare nel giro che conta, ma, più nel profondo, trovare un senso a tutto. Durante il film il personaggio di Norman viene raccontato, ma come per le persone che incontra, anche per lo spettatore rimane sostanzialmente una figura indefinita. Qualsiasi cosa dice potrebbe essere una bugia, non ha moglie o figli, dorme forse nella Sinagoga, ma di lui, di Norman Oppenheimer, non viene raccontato realmente nulla, se non questa sua missione personale; che mostra, dietro tutte le menzogne, un cuore e una necessità di riscatto personale.
Così, appreso questa piccola qualità di Norman, impreziosita da una delle prove attoriali più importanti di Richard Gere, il film compie un passo fondamentale. Da commedia si trasforma in thriller. Le sorti del protagonista sono appese a un filo, al Primo Ministro israeliano, e questo filo si fa sempre più fragile e sottile. La suspance data da questa incertezza è, mano a mano, alimentata dall’autodistruzione che il protagonista non riesce a evitare. Costretto a camminare per tutta la vita, Norman non capisce quando è il momento di fermarsi.
Lobby, politica e potere; il giro che conta, i vincitori e i perdenti, insieme alla fede religiosa e all’incrollabile fede che prima o poi le cose miglioreranno, sono tutti gli elementi che il film di Joseph Cedar, prodotto da Oren Moverman, nome che sempre più spesso compare negli ultimi progetti di Richard Gere, riesce a mettere in scena, raccontando un film che secondo la stampa americana rappresenta la migliore interpretazione dell’attore statunitense.