Interpretato nel 2006 dal veterano del cinema d’azione Michael Paré e interamente costruito sulle sanguinose gesta di un pericoloso serial killer sopravvissuto alla sedia elettrica, Seed di Uwe Boll è stato, senza alcun dubbio, uno dei più insostenibili elaborati sfornati dalla Settima arte d’inizio terzo millennio, capace di mettere a dura prova lo stomaco dello spettatore con le sue immagini di morte e violenze da torture porn proto-Hostel (avevamo addirittura la shockante fine di un povero neonato).
Un elaborato sicuramente rientrante tra i più riusciti del cineasta tedesco, il quale ne ha prodotto nel 2014 il sequel Seed 2, diretto dal bavarese classe 1986 Marcel Walz e comprendente nel cast la Caroline Williams che i fan dell’horror su celluloide ricordano soprattutto per essere stata la protagonista di Non aprite quella porta parte 2.
Del resto, porta stavolta con sé un’intera famiglia proprio come il Leatherface dalla sega elettrica il folle Max Steel, qui incarnato da Nick Principe e pronto a rivelare manie religiose nel prendere di mira tre sexy fanciulle di ritorno da un addio al nubilato a Las Vegas, in viaggio sulle desertiche strade del Nevada.
Un’ambientazione destinata a richiamare non poco alla memoria quella al servizio del craveniano Le colline hanno gli occhi ed a fare da scenografia alla nuova mattanza, sadicamente orchestrata tra spezzamenti di ossa e inchiodamenti di mani.
Ma con balzi temporali che, mostrando in maniera alternata il prima, il dopo e il mezzo, conferiscono una struttura narrativa tutt’altro che classica ad uno slasher fornito di inaspettato risvolto finale e che è Koch Media a rendere disponibile su supporto blu-ray italiano; impreziosito da una sezione extra costituita da trailer, diciassette minuti di making of e interviste alla Williams, all’effettista Ryan Nicholson e a Christa Campbell, facente parte del cast.
La stessa Koch Media che, sempre attingendo dalla filmografia di Walz, lancia nel mercato tricolore dell’home video in alta definizione La petite mort – Nasty tapes, datato 2014 e, in realtà, seguito del suo La petite mort, di cinque anni prima.
Seguito che, con il sopra menzionato Boll coinvolto in una breve apparizione nei panni di se stesso, testimonia ulteriormente la propensione per la splatter exploitation da parte di colui che si trova dietro la macchina da presa; che non dobbiamo dimenticare si è occupato nel 2016 anche del rifacimento di Blood feast di Herschell Gordon Lewis, primo film gore della storia del cinema.
E, non a caso, sono proprio la tanto scarna quanto violenta “poetica” del padrino del liquido rosso su celluloide e le nefandezze del Bloodsucking freaks di Joel M. Reed a tornare alla memoria nel corso di oltre un’ora e venti di visione il cui scopo è, chiaramente, quello di shockare lo spettatore.
Perché, con una ideale suddivisione in capitoli segnati di volta in volta da vittime di cui sono riportati stato civile, sessualità e prezzo, l’esile plot sfrutta semplicemente un locale in cui, a pagamento, si può assistere a torture di ogni tipo e, perfino, prendervi parte in prima persona.
Quindi, con un look generale che sembra richiamare il realismo del teatro granguignolesco, si sguazza in maniera impressionante in mezzo a bocche cucite per mezzo di ago e filo, mozzamenti di mani, una donna cui viene strappata via la pelle ed un’altra che si ritrova le proprie interiora conficcate nella bocca.
Senza contare mozzamenti di lingua, tagliamenti di capezzoli, cannibalismo a base di sushi e sanguinose evirazioni in un sempre più cruento crescendo… di cui è possibile apprendere qualche retroscena grazie al making of di dodici minuti che, insieme al trailer, troviamo nei contenuti speciali del disco.