Una pioggia scrosciante (fuori e dentro la sala, sì, le infiltrazioni non mancano in quel del Lido) ha battezzato la prima visione stampa di Diva!, il documentario realizzato da Francesco Patierno sulla vita di Valentina Cortese, presentato fuori concorso alla 74ª Mostra del Cinema.
Un omaggio interessante quanto basta, se si ha già letto l’autobiografia di Cortese, Quanti sono i domani passati (Mondadori, 2012) scritta a quattro mani con Enrico Rotelli e dal quale Patierno ha attinto integralmente per narrare alcune delle fasi più note, qua e là barocche e colorite. I testi sono reinterpretati da otto attrici – Isabella Ferrari, Anita Caprioli, Carlotta Natoli, Anna Foglietta, Silvia D’Amico, Greta Scarano, Barbora Bobulova, Carolina Crescentini (scelte notevoli, ma un po’ disorientanti, a volte) – e da un attore, Michele Riondino, cui dà voce a una lettera di Giorgio Strehler, forse l’amore più intenso e viscerale della vita di ‘Valuc’, come la chiamava affettuosamente lui.
Diva! (ri)mette in luce aneddoti ormai noti di Cortese, alcuni li ha raccontati lei stessa qualche anno fa a Fabio Fazio su RaiTre per la promozione del suo libro: il primo amore con Victor de Sabata; la carriera hollywoodiana tramontata dopo pochi anni di servizio; la ‘scuffia’ per Jules Dassin; i festini fetish e il whisky tirato in faccia al potente Darryl F. Zanuck; l’incontro folgorante con Strehler; i tradimenti di Richard Baseheart, col quale ha avuto l’unico figlio, Jackie; la ‘scoperta’ di Audrey Hepburn; l’Oscar ‘scippatole’ dall’amica Ingrid Bergman.
Immagini di repertorio si impastano con una colonna sonora (curata da The Spectrum) dal sentore elettro-melodico in continuo rimando tra nostalgia rassicurante e presente agrodolce, ovvero surrogato nelle sequenze della festa con Federico Fellini, Giulietta Masina, Silvana Mangano e la domanda che qualcuno, ingenuamente, si pone tutt’oggi: esiste ancora il divismo mentre parliamo dell’ultima diva italiana rimasta?
Però, non viene fuori la Valentina degli anni Settanta e Ottanta, periodi un po’ scomodi (soprattutto il primo) della sua carriera (Effetto notte a parte), momenti in cui la stessa attrice, raggiunta la totale consolidazione di carriera, non ha fatto altro che riproporsi come caricatura di se stessa: dal mitico foulard intonato al vestito, alla voce nasale con accenno di birigano, passando per le digressioni in francese e inglese che ogni tanto le scivolano dalle labbra. E sono queste, forse, le vere caratteristiche che le hanno permesso di assurgere in modo integrale all’olimpo dell’iconografia divistica, all’irraggiungibilità.