In prima mondiale Francesca Comencini ha presentato il suo ultimo film Amori che non sanno stare al mondo al 70 Festival di Locarno, nella cornice di Piazza Grande piena di un pubblico partecipe e caloroso.
Tratto dal suo ultimo omonimo romanzo, Amori che non sanno stare al mondo nasce come idea per un film che si trasforma in romanzo per poi essere realizzato come commedia. Un lavoro da parte della Comencini senza soluzione di continuità tra parola scritta e messa in scena della storia. E in effetti, il maggiore pregio della pellicola è la sceneggiatura dai dialoghi brillanti e perfettamente calibrati.
Il film narra la storia d’amore tra due professori universitari, Claudia e Flavio, durata sette anni, dal punto di vista di Claudia ossessionata dall’uomo amato e abbandonata dopo una serie di litigi e incomprensioni. L’ossessione amorosa è il tema fondamentale dell’opera della Comencini, la perdita di un fulcro emotivo, la ricerca di un proprio equilibrio interiore con il mondo esterno. Claudia è una donna problematica, volitiva, a tratti aggressiva, ma di una vivacità intellettuale vulcanica e di una emotività trasparente e diretta. Il loro rapporto è raccontato in molteplici flash back che si interpolano con lo scorrimento temporale del presente filmico, dove Flavio si sposa con una giovane donna, mentre Claudia passa attraverso un rapporto lesbo con una sua ex allieva.
La ricchezza dello scandaglio emotivo e delle scelte narrative fanno dell’opera della regista una commedia al di sopra della media della produzione italiana, con scene di nudo frontale maschile e di sesso tra donne, inusuale per un cinema come il nostro che ultimamente si è come assopito su stereotipi commerciali e autoriali di facile e omologata realizzazione. Il coraggio della Comencini in questo caso non ha nulla di provocatorio, ma è una scelta necessaria di utilizzare le potenzialità dei personaggi per rendere pienamente e compiutamente sia lo sviluppo drammaturgico sia quello psicologico.
Ecco che allora, l’altro grande pregio di Amori che non sanno stare al mondo è stata la scelta degli interpreti: Lucia Mascino rende Claudia con grande partecipazione e trasporto, in una recitazione senza risparmio, strabordante, quasi in apnea, dove corpo, voce, cuore sono centrifugati sullo schermo; dall’altro, abbiamo Thomas Trabacchi che trasforma Flavio in un uomo cinico, distaccato, immobile sia nello spazio sia nell’emotività, compiendo un lavoro di sottrazione recitativa sempre sul filo di un equilibrio ambivalente della propria espressività vocale e facciale.
La Comencini pur chiaramente essendo interessata al personaggio di Claudia, dirige gli attori con maestria riuscendo a farli interagire nello spazio reso anonimo con una regia, a dire la verità, (se vogliamo trovare un limite al film) senza guizzi, che disinnesca la macchina da presa come strumento di scrittura cinematografica. Ma oltre ai due protagonisti, l’attenzione della regista per i ruoli secondari non è superficiale, così come la scelta delle attrici e vogliamo citare su tutte: Carlotta Natoli (l’amica di Claudia); Valentina Bellè (allieva e poi amante della protagonista); Iaia Forte in un riuscito cameo di un’antipatica relatrice di convegni universitari.
In Amori che non sanno stare al mondo, alla fine, quello che conta è la sceneggiatura più che la messa in scena, come in un film di Woody Allen – che viene citato nelle sequenze dove si assiste ai dialoghi in absentia tra Claudia e Flavio, pur non essendo presenti fisicamente nello spazio ma proiezioni dell’inconscio dell’uno e dell’altra.
Film al femminile per un pubblico senza limitazioni di genere, la Comencini mette a nudo un’emotività vera in un’opera personale che racconta pezzi di vita dove molti si potranno riconoscere e pensiamo proprio che sarà una delle pellicole protagoniste dei prossimi David di Donatello.