George A. Romero se n’è andato stanotte all’età di 77 anni. Il regista, padre degli zombi moderni, è morto dopo una breve e dura battaglia contro un cancro ai polmoni. Romero è spirato durante il sonno avendo accanto a se la moglie Suzanne Desrocher e sua figlia Tina. A dare la notizia, tramite il Los Angeles Times, il suo amico nonché produttore Peter Grunwald.
Chi scrive si è appassionato al cinema e, in particolare, al genere horror grazie ai film che questo omone di Pittsburgh iniziò a fare nel lontano 1968. Per chi scrive George Romero, rappresenta IL CINEMA e, nonostante quello che possono dire e detrattori, lui ha fatto la storia del cinema: pochi registi hanno influenzato a tal punto, con la loro opera, l’immaginario popolare mondiale.
Lo zombi che tutti, oggigiorno, hanno in mente è lo zombi romeriano: un morto che cammina e che mangia carne umana. Prima de La notte dei morti viventi (1968), esordio alla regia di Romero, gli zombi erano degli esseri umani drogati da uno stregone malvagio o a cui alieni o scienziati pazzi avevano fatto il lavaggio del cervello. George Romero, ispirandosi a Io sono leggenda di Richard Matheson, sconvolge tutta la filmografia precedente dando una nuova e più incisiva identità alla figura dello zombi.
Romero è e sarà sempre ricordato per questa rivoluzione che attuò, ma sarebbe riduttivo, semplicistico e cieco ricordarlo solo per questo. La grandezza del regista di Pittsburgh sta, sopratutto, nell’aver utilizzato un genere così di nicchia come l’horror per denunciare in ogni suo film la violenza, la stupidità, l’egoismo e le brutture della nostra società.
Fin dal suo primo film, Romero iniziò la sua lunga marcia della contestazione: è il 1968 e l’america è nel pieno della guerra del Vietnam. Romero, che all’epoca aveva appena 28 anni, in un solo film compie due atti a dir poco rivoluzionari: tramuta lo zombi da essere drogato e caraibico (dalla magica Haiti originano gli zombi) in un americano medio affamato di carne umana e, così facendo, mette in mostra le contraddizioni e le ipocrisie dell’epoca. Il protagonista del film è un uomo di colore che, alla fine del film, dopo essere sopravvissuto a decine di mostri famelici, viene ucciso da un redneck di passaggio.
Questa è solo la prima delle pietre che formano la lunga strada che Romero ha realizzato in oltre quarant’anni di carriera. Il regista si è più volte distaccato dal genere zombi: Monkey Shines (1988) è un capolavoro molto spesso dimenticato, come anche Knightriders (1981) o Creepshow (1985).
Stanotte ci ha lasciati un Maestro del cinema, una persona che utilizzava il cinema come metodo di contestazione e di rivolta personale: mi sentirò più solo d’ora in poi.
Ho avuto il privilegio di conoscere George Romero poco più di un anno fa ed è stato come incontrare un vecchio amico. Avergli potuto parlare, anche se solo per una decina di minuti, avergli visto sgranare gli occhi e rimanere folgorato per una domanda che gli ho fatto durante l’intervista è qualcosa che mi resterà sempre dentro.
Addio George.
Andrea Bianciardi