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Humpday

«”Humpday” è una commedia più intelligente che divertente: l’umorismo del film è quindi sempre funzionale alla riflessione e non è mai gratuito».

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Vincitore del Premio Cassavetes all’Independent Spirit Awards e del Grand Prix del Sundance Film Festival, Humpday è il terzo film diretto dalla regista Lynn Shelton. Per il suo ritorno dietro la macchina da presa, Shelton punta sul genere della commedia e racconta la storia di due amici di vecchia data che si ritrovano dopo anni di lontananza.

Ben (Mark Duplass) conduce una vita tranquilla e regolare, con un lavoro stabile, una casa, una moglie adorabile (Alycia Delmore). Andrew (Joshua Leonard), al contrario, gira per il mondo e non ha ancora trovato la stabilità. Insegue le sue velleità artistiche senza però riuscire a produrre qualcosa di concreto. Una notte, dopo una festa decisamente allegra e con la complicità dell’alcool, i due sembrano ritrovare con grande facilità l’affiatamento di un tempo, e si coinvolgono reciprocamente in un folle progetto: partecipare a un festival porno-cinematografico amatoriale. L’idea del porno gay con i due protagonisti eterosessuali è lo spunto attorno al quale fioriscono le principali tematiche della pellicola: il sesso, l’amore, l’amicizia.

Humpday è una commedia più intelligente che divertente, che suscita non tanto la risata quanto la riflessione. Attraverso il confronto di due differenti identità si snoda il confronto tra diversi mondi e schemi comportamentali, con i relativi punti di distanza e di contatto. La commedia diretta da Shelton indaga la relatività delle comuni definizioni e distinzioni, esplora la permeabilità tra ciò che siamo, ciò che vorremmo essere e ciò che invece pensiamo di essere. La storia di Ben e Andrew alle prese con il loro spinoso progetto video-amatoriale è una storia di domande e dubbi apparentemente adolescenziali, ma in realtà senza tempo. E come tutte le storie di domande e ricerche identitarie, Humpday parla anche della paura: paura di crescere, paura di trovarsi ingabbiati in una vita che non appaga, paura di non realizzarsi, paura di esplorare le zone nascoste della propria personalità. L’umorismo del film è quindi sempre funzionale alla riflessione e non è mai gratuito. Più che di comicità di battuta si potrebbe parlare di comicità di situazione, con i due protagonisti che esplorano goffamente il territorio vergine della propria intimità.

In questo genere di comicità, Humpday si rispecchia abbastanza fedelmente nel movimento di cui fa parte: il Mumblecore. Il Mumblecore è un movimento americano tipico di un certo cinema indipendente al confine tra la fiction e la spontaneità documentaristica. Caratterizzato a livello verbale e testuale da ritmi colloquiali e dialoghi spezzati, il Mumblecore riprende l’onomatopea fumettistica del “mumble mumble”, tipica di chi rimugina tra sé e riflette. I dialoghi di Humpday rientrano in questi canoni e hanno reso abbastanza difficoltoso il lavoro di traduzione e doppiaggio della pellicola. Forse è per questo che il doppiaggio italiano lascia abbastanza a desiderare. Pur puntando sulla popolarità di due personaggi molto amati dal pubblico italiano – Lillo e Greg prestano le voci a Ben e Andrew – la versione doppiata non convince, né soddisfa, e rovina la scioltezza di dialoghi brillanti. Sarebbe forse consigliabile, quindi, poter godere di questo Mumblecore movie nella sua versione originale. Un altro consiglio: a proiezione finita, meglio aspettare la fine dei titoli di coda.

Silvestro Capurso

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