Sinossi: Il giovane afroamericano Chiron vive in un quartiere di Miami segnato da droga e violenza. Attraverso le tre età della vita, infanzia, adolescenza e età adulta, Chiron lotta quotidianamente per trovare la sua strada, scoprendo se stesso, la sua sessualità e il complicato amore per il suo migliore amico.
Recensione: Moonlight è strutturato su tre stadi della vita di un ragazzo cresciuto a Liberty City, quartiere degradato di Miami, considerato uno dei più pericolosi d’America. Tre magnifici attori (Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes) si plasmano magicamente in un unico personaggio, quello di Chiron, il quale si ritrova ad affrontare in maniera peculiare lo stesso mondo da tre prospettive diverse: quella di Little, quella di Chiron, quella di Black. Si tratta di tre nomi/soprannomi, tre identità diverse ma sovrapponibili da dietro, alle quali il protagonista si rapporta per difendersi da un mondo per lo più ostile, spesso barricandosi dietro di esse.
Chiron cambia (anche a livello attoriale appunto), e così anche il suo migliore amico e coetaneo Kevin, mentre il mondo intorno a lui sembra non mutare, anzi sussiste nella ciclicità delle esistenze di una realtà che – per quanto problematica – è estremamente ammaliante (americana, ma con influenze caraibiche e cubane).
Il cambio di stile della fotografia, sempre incantevole, densa dell’uso del fleur nel primo capitolo dell’infanzia, realistica nel secondo dell’adolescenza e puramente notturna nel terzo capitolo, a metà tra il blu degli esterni e del caldo marroncino degli interni, sottolinea ulteriormente e inconsciamente nello spettatore il passaggio evolutivo della vita del protagonista. Quasi fossero tre mini-film intimamente e indissolubilmente legati tra di loro: il primo dall’atmosfera magico-caraibica, il secondo più crudo, il terzo sofisticato, come se fossimo in una periferia newyorkese, anch’essa senza tempo, alla James Grey.
Il fatto che, invece, la coralità dei personaggi secondari “adulti”, seppur invecchiando, non cambi – neanche a livello attoriale – non fa che suggerire il potente incantesimo d’immobilità indotto dall’atmosfera semi-tropicale di Miami nei suoi abitanti, a prescindere dalla loro estrazione sociale. Da notare gli inserti onirici giustificati dal tema/mito di fondazione che dà il titolo al film: una vera chicca in un contesto per il resto verosimile.
Moonlight è infatti un gioiello molto classico, con il quale gli autori vogliono raccontarci senza fronzoli o trucchi l’intimità di una vita “tipo” di una personalità che nasce e cresce in un contesto familiare e sociale dove un certo modello di virilità ostentata viene prima di ogni cosa. E Chiron è estremamente sensibile a questa tonnellata di stimoli molto definiti che gli piombano addosso quasi da ogni angolo. Qualche voce fuori dal coro c’è, ma per sfortuna non riesce a mantenere autorevolezza ai suoi occhi, come la madre (la splendida ed eccellente Naomie Harris) e lo spacciatore Juan (Mahershala Ali) nel primo capitolo, e l’amico Kevin nel secondo: il richiamo del diventare ciò che gli altri vogliono che tu sia pulsa di una forte intensità, che si può subire, rifiutare o seguire. In ogni caso, ognuna di queste scelte comporta un prezzo da pagare, più o meno alto, le cui conseguenze vengono subite dalla propria identità, che a tratti sembrerà una chimera sempre più irraggiungibile. Un film che sa trattare un tema universale quale quello dell’identità in maniera nitida e onesta: non solo un lungometraggio che ha preso tante nomination agli Oscar, perfetto sotto il punto di vista narrativo, interpretativo e tecnico-registico, ma un’opera con la o maiuscola, di quelle che ti lasciano ancora a pensare immobile mentre scorrono i titoli di coda.
Alessandra Graziosi