Il Cinema dei Piccoli di Villa Borghese ha ospitato ieri mattina la conferenza stampa di Les Ogres, secondo film della regista francese Léa Fehner. Applaudito dal pubblico della 52. Mostra del nuovo cinema di Pesaro e vincitore del premio Lino Miccichè per il miglior film del Concorso Pesaro Nuovo Cinema, il lungometraggio nasce dall’esigenza dell’autrice di raccontare la sua vita.
Figlia di due attori e fondatori di un teatro viaggiante, Les Ogres è un film che mescola alle esperienze personali di Fehner, la storia di una tribù di artisti nella quale il lavoro, i legami familiari, l’amore e l’amicizia vengono messi in discussione dalle difficoltà di una vita sempre on the road, mai normale, disordinata, eppure sincera e romantica.
Per l’autrice francese era importante rimanere fedele all’atmosfera e alla vivacità di quei giorni, così porta sullo schermo, insieme ad altri attori di cinema e teatro, i suoi genitori. “Il mio è un film che mescola ai ricordi la mia condizione attuale di donna” – racconta la regista – “volevo raccontare la vita romantica e avventurosa dei miei genitori, ma era anche necessario inventare e romanzare il film, per tessere da un lato una storia e dall’altra sollevare questioni importanti”.
Sulla difficoltà di lavorare con i propri cari, Fehner spiega di non aver avuto grossi problemi. “I miei genitori sono attori e ho scelto il resto del cast in base alle personalità di ognuno”. La regista ha lasciato agli attori il tempo necessario per conoscersi e capire le esigenze del copione. “Abbiamo provato e girato per un periodo molto lungo, quasi dieci settimane, e in ordine cronologico, così che tutti percepissero il flusso della storia. Di solito sui set cinematografici gli attori sono come dei toreri, da soli al centro dell’attenzione, e una grande troupe intorno. Qui, al contrario, ho lasciato a una piccola troupe il compito di seguire tutto quello che succedeva agli attori durante una scena”.
Così come i genitori hanno fatto in passato, anche la compagnia ricreata nel film da Fehner porta in scena Cechov. “Il teatro viaggiante dei miei genitori raggiugeva le persone che non avevano la possibilità di andare a teatro, per questo abbinavano a Cechov il cabaret, per rendere lo spettacolo più accessibile a tutti”.
In un viaggio infinito, di città in città, sempre in camper e in tenda, la normalità stessa viene messa ogni giorno in discussione. E solo l’amore sembra essere l’unica costante, il messaggio più importante di tutto il film. In un momento particolare, la regista francese sceglie di inserire la famosa canzone Celentano, 24000 baci. “Non uno, non due, ma 24000 baci” – spiega Fehner – “rappresenta un messaggio importante: se da una parte alleggerisce la violenza della scena (perché durante una rissa, ndr), dall’altra è un modo per sottolineare quanto amore sia presente in questa grande famiglia allargata”.
Alessio Paolesse