Gradevole nell’insieme e capace di destare la più viva attenzione, Arrival del talentuoso Denis Villeneuve, che già ci aveva stupefatti agli esordi con lo straziante La donna che canta, costituisce una pregevole variante dell’iconografia, già ampiamente utilizzata, dell’incontro tra un’umanità timorosa, ma al tempo stesso ansiosa di conoscere, e una civiltà extraterrestre che, lungi dall’assumere atteggiamenti ostili, cerca di trovare un canale di comunicazione per scambiare informazioni di vitale importanza. Non ci dilungheremo ad evocare gli illustri precedenti che hanno trattato tali questioni, l’unica comparazione che ci viene di mettere in campo è quella con l’eccessivo Interstellar di Nolan, laddove, pur trattando questioni non troppo dissimili, il regista britannico, ossessionato, pensiamo, dall’ambizione di realizzare un film inarrivabile, si è fatto risucchiare dalla smania di fornire una strato teorico ridondante (il soggetto del film è stato realizzato dal fisico Kip Thorne), che ha appiattito la narrazione, stordendo, senza appassionare mai fino in fondo, lo spettatore.
Villeneuve, invece, tocca, anch’esso, questioni filosofiche decisive, ma, come fece intelligentemente Steven Soderbergh quanto si confrontò con il rifacimento del capolavoro di Andrej Tarkovskij, Solaris, riesce a declinare sul piano emotivo la storia che mette in scena, producendo una brillante sintesi tra la necessità di approfondire alcuni argomenti che richiedono un’intensa riflessione e l’esigenza di catturare l’attenzione dello spettatore, giacché, fatte salve le allusioni filosofiche, che pur abbondano nel film, Arrival ha dei tempi perfetti nello snocciolare la sua complessa trama, raggiungendo un ottimo punto di equilibrio che lascia chi guarda libero di valutare, secondo i propri strumenti, quanto è passato sullo schermo.
Nietszche, Heidegger, Wittgenstein: questi, almeno di primo acchito, sono i grandi pensatori che vengono in mente dopo aver visionato il film di Villeneuve, dato che ad essere affrontati sono i temi del linguaggio (non ci siamo dimenticati neanche di Ferdinand De Saussure), la concezione del tempo, e del destino; ma ciò che piace del lavoro di scrittura di Eric Heisserer, che è partito dal racconto Storia della tua vita, incluso nell’antologia di Storie della tua vita (Stories of Your Life), di Ted Chiang, è la sistematica ricaduta etica di tutte le elucubrazioni proposte, visto che centrale rimane il rapporto tra una madre (un’abile Amy Adams) e sua figlia, e tutto, finanche il più pirotecnico balzo del pensiero, risulta funzionale a sviscerare fino in fondo l’eccedenza di una relazione che, nella sua immediatezza e profondità, contiene al proprio interno il più fitto dei misteri, senza che ci sia bisogno di sconfinare chissà dove per trovare una verità che è già da sempre contenuta in noi.
A voler trovare il pelo nell’uovo, l’unica osservazione che si può muovere a Villeneuve è quella di non aver resistito alla tentazione di antropomorfizzare gli alieni, dettaglio non da poco, perché si sarebbe potuta articolare anche una riflessione (dato che si tratta di cinema) sullo statuto ontologico dell’immagine, mentre gli eptapodi (sono dei ‘seppioni’ con sette tentacoli) reiterano un’iconografia un po’ consunta, che strizza l’occhio ad uno spettatore ansioso di vedere qualcosa di straordinario e inconsueto (ma, in questo senso, avevamo già all’attivo tutta l’iconografia dei vari Alien).
“Se potessi rivedere in un sol colpo tutta la tua vita, cambieresti qualcosa?”, chiede Louise Banks (Adams), la coraggiosa professoressa di lingue, al fisico-collega Ian Donnelly (Jeremy Renner). Ecco, basta una domanda, quella giusta, ad aprire un panorama inedito su cui posare lo sguardo, in attesa di una risposta che venga a visitarci, sebbene non smetteremo mai di profondere tutti i nostri sforzi per carpirla. Dire di si al destino, al lancio dei dadi, superare il nichilismo, agevolare – come suggeriva Gilles Deleuze quando spiegava Nietzsche – il ‘doppio divenir attivo delle forze’ all’interno del circolo dell’Eterno Ritorno, per compiere quel salto verso un’umanità nuova, affrancata dall’incombenza della morte, e libera, dunque, di amare fino in fondo.
Arrival, come si diceva all’inizio, è capace di stimolare importanti riflessioni, ma senza gettarle addosso allo spettatore, tramortendolo (come aveva fatto l’inopportuno Nolan), piuttosto lasciandogli la possibilità di decidere attraverso quale prospettiva approcciarsi alle questioni sollevate. Villeneuve, dunque, si dimostra, anche cimentandosi con una fastosa produzione statunitense, un regista intelligente e attento, e, a questo punto, non possiamo che aspettarci grandi cose anche dal prossimo Blade Runner 2049 (siamo sicuri che il regista canadese non sarà da meno del collega Soderbergh).
Distribuito da Sony Pictures Entertainment, Arrival è disponibile in dvd, in formato 2.39:1, con audio in italiano, inglese e francese (DD 5.1), e sottotitoli in italiano, inglese, arabo, francese e danese opzionabili. Nei contenuti speciali: Xenolinguistica – comprendere Arrival; Tracce acustiche – la progettazione del sonoro.