Sinossi: Rogue One: a Star Wars Story è il primo capitolo di una nuova avventurosa serie cinematografica spin-off, che esplora i personaggi e gli eventi che ruotano intorno alla Saga di Guerre stellari. Il film racconta la storia di un gruppo di ribelli che intraprendono una missione per sottrarre i piani della più potente arma di distruzione di massa mai ideata dall’Impero, la Morte Nera. Questo evento spingerà delle persone ordinarie a unirsi per realizzare imprese straordinarie, diventando parte di qualcosa di più grande. Rogue One è dunque ambientato prima degli eventi narrati in Star Wars: Episodio IV.
Recensione: Per chi non conosce Star Wars (SW), il film di Gareth Edwards semplicemente non va visto. Esso è non solo l’antitesi dell’intollerabile Star Wars: Il risveglio della Forza (2015) diretto da J. J. Abrams, ma ne è sostanzialmente il “nemico”. Se il prodotto del padre di Lost è stato congegnato per piacere a tutti, l’opera dell’artista inglese si rivolge a quelli che amano la Saga di Lucas. Botti, scontri, esplosioni, non sono nello stile di Edwards. Dunque, se siete nella prima categoria di spettatori, restatevene a casa, poiché il film non lo capirete! Per chi invece di Guerre stellari sa, allora questa pellicola è un dono. Mentre Abrams ha voluto rivoluzionare tutto, Edwards ha solamente proposto “una storia di Star Wars”, con garbo e rispetto. Un magistrale esempio, il suo, di equilibrata e dotta autorialità.
Sin dalle prime sequenze si percepisce il suo marchio di fabbrica, quello che ha reso unico Monsters (2010): l’utilizzo di una Natura preponderante, imponente e che sa dominare l’Uomo. Un altro aspetto che Edwards ama sottolineare in questo suo ennesimo successo è il mostrare scene spaziali vintage, che ricordano quelle di uno degli storici sodali del grande George Pal. Ci riferiamo a quel Chesley Bonestell, padre della cosiddetta: “Astronomical Art ”.
Sia come sia, le differenze con la orrida pellicola di Abrams sono enormi e palesi da subito. Mentre il film di quest’ultimo era un ammasso di imprecisioni, un contenitore fracassone, quello dell’artista inglese è quasi imbarazzante per il rispetto filologico della Saga. Ad esempio, l’inizio di Rogue One è estremamente introspettivo, meditato, quasi sin troppo. Nessuna paura, tutto verrà ricomposto nella seconda parte del film.
Ciò detto, non si creda che Edwards non ci metta del suo. Il maggiore cineasta di Sci-Fi in circolazione è un cavallo di razza, solo che è anche molto acuto, poco arrogante, differentemente dal suo collega americano. Ecco allora che nella sua storia vi è parecchia politica, nello sviscerare la natura della Ribellione, la vera protagonista di questo film. Anche qui, Edwards si dimostra perfetto, giacché nella prima trilogia (cronologicamente, seconda nell’ordine storico degli eventi di SW), l’Impero è solo un qualcosa di abbozzato; sarà soltanto con la Seconda Trilogia che Lucas affrescherà il suggestivo mondo dei Sith, col loro essere – da tempo questa è la nostra particolare lettura come studiosi di Guerre stellari – antimoderni, depositari di una Tradizione, in contrasto con la visione globalista e burocratica dei Jedi. L’inserire la politica con sapiente coerenza filologica nell’universo creato da Lucas è stato il vero capolavoro di Edwards.
La prima ora sembra apparentemente spiazzare lo spettatore e ancor di più lo studioso della Saga, il tutto appare molto lento, a tratti noioso. Dove è finita la sigla? Per non parlare delle spade laser? Sulla sigla, anche qui, non vi è da temere, le musiche di John Williams non sono state neglette da Edwards. Curioso comunque notare che l’altro, nonché nuovo motivo portante del film ricordi non poco quello di Starcrash (1978) del nostro Luigi Cozzi, artigianale e brillante “risposta” alla magniloquente Saga di Lucas.
Su Rogue One, chi come noi si occupa di SW da anni vorrebbe subito pubblicare un articolo accademico, tanto vi è da dire, giacché trattasi di una opera colta, frutto della mente di chi ha studiato la Saga, dunque la conosce bene; l’opposto di Abrams tanto per essere chiari. Un regista bravo costui, non c’è dubbio, ma che non amiamo né intendiamo farlo, visto che non ha solo massacrato la mitopoiesi di Lucas, ma anche profanato quella odissea fantascientifica, profondamente laica e positivista, che è Star Trek.
Tornando alla “Astronomical Art” utilizzata da Edwards, egli nel far questo ha dimostrato un coraggio da leone, proponendo una estetica che i giovani non capiranno, ma poco importa, lui doveva creare con rispetto un episodio della Saga che si potesse inserire senza alcuna sbavatura con il primo (il IV), che nel 1977 era ancora in parte visivamente debitore delle opere di Bonestell. Per tale motivo, affermiamo che Rogue One è la risposta tradizionalista al tradimento narrativo di Abrams, dove le idee di Lucas sono state distrutte sull’altare della modernità. Inoltre, il bravissimo cineasta inglese palesa senza timore il suo amore per l’Episodio IV nelle continue citazioni che offre allo spettatore, fatte con maestria. Egli sapeva quello che stava facendo e considerato che il suddetto capitolo IV di SW si intitola: A New Hope, questa parola, la “speranza”, ricorre nella sua storia, sino a fare arrivare a dire a uno dei protagonisti: “Le ribellioni si fondano sulla speranza”. Chi studia la Saga sa bene quanto Lucas si sia basato sulla figura del samurai per creare i Jedi e anche qui troviamo coerenza in Edwards, nell’offrirci un guerriero orientale cieco, raffinato omaggio allo spadaccino Zatōichi, celeberrimo personaggio del chanbara nipponico.
Infine, l’aspetto religioso in SW. Chi lo ignora magari la Saga l’avrà vista e rivista, ma non certo capita. Lucas nella sua “creatura” ha ripreso dallo Zen, ma pure dal Cristianesimo. Edwards, in una epoca laicista come questa, non mostra incertezze di sorta, e inserisce una scena che evoca senza equivoci elementi cristiani; ciò ci ha sorpreso, giacché questa scena ci ha ricordato una che si trova ne La guerra dei mondi (1953), diretta dall’onesto mestierante Byron Haskin, ma frutto sempre del genio di Pal, un autore che all’aspetto religioso nella fantascienza dava una enorme importanza. La questione religiosa, nella nuova gestione da parte di Abrams della Saga è nodale. Chiediamo a chi ci legge di capire che scriviamo da studiosi, affermando probabilmente cose scomode, ma frutto di scrupolosa ricerca. Ora, nella scena di cui sopra, vi è, come detto, una forte matrice cristiana, che manca totalmente nella pellicola diretta da Abrams. Il motivo? Questo capacissimo regista e produttore è di formazione ebraica, allora magari può essere stato meno attento al retaggio cristiano presente nella Saga di Lucas. Infatti, da persona intelligente qual è, Abrams non dirigerà i prossimi episodi, producendoli solamente. Se i danni che egli ha fatto a Star Trek sono enormi, ma non letali, essendo questa una saga profondamente cerebrale e aconfessionale, per l’universo creato da Lucas lui non è tagliato, considerato che questo è stato in parte basato sulle teorie dello storico delle religioni americano Joseph Campbell (1904 – 1987), le cui idee sono spesso ricollegate a quelle di un tradizionalista come Mircea Eliade.
Edwards si è scelto un compito difficilissimo. Ha lasciato la nuova timeline della Saga a quello che Abrams e accoliti vorranno farne e ha ripreso il passato, dove tutto poteva creargli un problema, ha fallito? Tutt’altro, un successo il suo, una opera praticamente perfetta. Del resto, stiamo parlando di un regista che con Monsters ha introdotto una modo di fare il kaijū eiga in chiave occidentale. Poi i giapponesi gli hanno affidato nel 2014 la saga di Gojira, e si è dimostrato all’altezza. Ora, gli è stata offerta la possibilità di ridare dignità a quel sogno occidentale che è SW, ed Edwards ci è riuscito.
Appena finito il film all’anteprima stampa, tutti abbiamo applaudito, ci siamo sentiti a casa, in quel “luogo” fantastico creato da Lucas, in quella sua fiaba moderna che ci ha fatto piacere rivivere grazie al talento di Edwards, a cui va il nostro ringraziamento come studiosi di fantascienza, ma principalmente in qualità di appassionati di quell’angolo di ricordi rappresentato da Guerre stellari e che egli ha rispettato. Ecco, il rispetto, un valore che nell’Occidente di oggi sembra blasfemia, quando, per converso, è l’essenza di civiltà.
È stato riportato il fatto che Edwards abbia ricevuto una telefonata proprio da Lucas, nella quale il “papà” di SW gli ha detto: “Ho amato il film. Posso morire felice”. Point à la ligne, come si dice in francese.
Riccardo Rosati