Dopo la buona accoglienza da parte del pubblico e della critica all’ultima edizione di Cannes all’interno della Quinzaine des Réalisateurs, si è tenuta a France Odeon l’anteprima italiana di Tour de France, il secondo lungometraggio di Rachid Djaidani che a fine novembre debutterà nei cinema francesi (mentre è ancora in cerca di un distributore italiano).
Il road movie presenta una serie di regole e cliché da cui è difficile deviare, non è facile sfuggire al già visto e non provocare nello spettatore quella fastidiosa e tediosa sensazione di déjà-vu. Tour de France, pur rimanendo all’interno del genere di appartenenza, riesce ad evitarne alcune trappole insidiose attraverso un approccio genuino, sentito e diretto. Djaidani crede nella storia e nei personaggi che racconta, due persone all’apparenza lontanissime e diversissime tra loro – un giovane rapper parigino di origini magrebine ed un vecchio e scorbutico operaio in pensione con l’hobby per la pittura – ma che in fin dei conti rappresentano entrambi l’anello più debole, fragile e discriminato della società francese. Come spesso capita in questi casi la buona riuscita del film è da attribuire in buona parte all’alchimia che si è venuta a creare tra i due interpreti principali, il rapper egiziano Sadek e Gerard Depardieu. Bravissimo e sorprendente il primo, al suo esordio nel lungometraggio, nel tenere testa senza alcun timore reverenziale ad uno dei più grandi attori del cinema francese che, da parte sua, dimostra di essere ancora capace di interpretazioni intense e maiuscole quando si ritrova per le mani dei copioni interessanti e sfaccettati.
In conferenza stampa Rachid Djaidani ha affermato che il suo rapporto col cinema assomiglia a quello che aveva con la boxe quando faceva il pugile, in entrambi i casi tiene sempre la guardia alta. Non si considera un regista integrato nel sistema dal momento che il cinema francese di solito racconta e rappresenta una certa élite e pertanto non è interessato ad affrontare problematiche e diseguaglianze sociali. Ritrovarsi a dirigere un attore di prima grandezza come Depardieu è stato incredibile, sul set era facile far partire le riprese ma molto difficile interromperle perché veniva travolto a livello emozionale dalla sua performance.
Dal canto suo Depardieu, che ha da poco pubblicato un’autobiografia intitolata Innocente, si è dimostrato un fiume in piena durante l’incontro stampa. Parlando (in italiano corretto) del film ha dichiarato che l’intento principale è quello di far allargare gli orizzonti del pubblico per renderlo più elastico e permeabile in merito a certe tematiche sociali. Il grande attore francese fatica a parlare esclusivamente di cinema, finisce spesso per deviare su argomenti di politica internazionale, dimostrando un’aperta idiosincrasia nei confronti delle influenze e delle ingerenze americane a livello mondiale. Depardieu si mostra refrattario non solo alla cultura, alla politica e alla società statunitense, fondata sulla violenza e sulla sopraffazione a partire dallo sterminio dei nativi americani, ma anche alle nuove tecnologie, all’era internet, ai social che hanno reso le persone incapaci di comunicare tra loro: oggigiorno c’è una povertà della parola che è davvero terribile. Io invece sono molto interessato alla gente, alla vita, mi piace viaggiare per scoprire le diverse culture che il mondo ha da offrire. In passato i legami tra Italia e Francia erano molto forti e intensi mentre adesso, nonostante l’estrema vicinanza, sono diventati due paesi che si conoscono a malapena, sono estranei a causa delle politiche odierne. Il comportamento dei nostri politici mi ricorda la pornografia.
Boris Schumacher