Se il goffo inserviente di palestra Melvin, accidentalmente caduto in un bidone colmo di liquami radioattivi, finiva trasformato nel mostruoso vendicatore tossico grottescamente armato di mocio in The toxic avenger, splatter cult sfornato nel 1984 dalla trashissima Troma e capostipite di una vera e propria saga, non è da meno l’Enzo Ceccotti cui concede anima e corpo Claudio Santamaria in Lo chiamavano Jeeg robot, visto nelle sale a fine Febbraio 2016, dopo il successo riscosso cinque mesi prima presso la Festa del cinema di Roma.
L’Enzo Ceccotti che, sbandato della periferia romana, scopre di aver acquisito una forza sovrumana dopo essere entrato a contatto con la sostanza contenuta in alcuni barili nelle acque del fiume Tevere e che abbandona la propria esistenza da delinquente in seguito all’incontro con la giovane orfana (e psicologicamente problematica) Alessia alias Ilenia Pastorelli, convinta che lui sia l’eroe del popolare cartone animato Jeeg robot d’acciaio.
Perché, semplicemente salutato da tutti in qualità di risposta italiana ai cinecomic sui supereroi tanto gettonati dalla Settima arte hollywoodiana d’inizio terzo millennio, il primo lungometraggio diretto dal Gabriele Mainetti lanciato come attore nel 1999 da Il cielo in una stanza di Carlo Vanzina rappresenta, in realtà, molto di più all’interno del panorama cinematografico tricolore dominato in maniera esclusiva, da ormai troppi decenni, da rassicuranti commedie e drammi legati all’attualità.
Infatti, sebbene le quasi due ore di visione non possano fare a meno di testimoniare l’ultimo esempio nostrano da grande schermo accomunabile ad un filone che ci ha “regalato”, tra gli altri, Flashman di Mino Loy e L’uomo puma di Alberto De Martino, evitano di scimmiottare – come avvenuto in quei casi – i superhero movie d’oltreoceano e, mantenendo sempre su un piano realistico perfino i poteri acquisiti dal già citato Ceccotti, immergono la vicenda raccontata in un contesto malavitoso capitolino debitore nei confronti dei vari Romanzo criminale, tirando in ballo una feroce gang capitanata dallo Zingaro magnificamente incarnato dall’eccellente Luca Marinelli di Non essere cattivo.
Uno Zingaro sempre più vicino al Joker nolaniano man mano che i lentamente coinvolgenti fotogrammi scorrono; fino ad uno scontro finale che, ambientato allo stadio durante il derby calcistico, lascia individuare come sua probabile fonte d’ispirazione una delle situazioni più note de Il cavaliere oscuro – Il ritorno.
Al servizio di un già classico che, vincitore di sette David di Donatello (tra cui quello per i due attori protagonisti e per la migliore opera prima) e rientrato tra i titoli scelti dal Belpaese per andare agli Oscar, si rivela tutt’altro che banale, oltretutto, nel rivolgersi – nonostante il genere di appartenenza – ad un pubblico non troppo bambino; complici le spruzzate di splatter (compreso un dito mignolo del piede tagliato) e, soprattutto, i tristi retroscena riguardanti la “povera” Alessia, reale motore del film e assolutamente da non sottovalutare per la loro importanza nel far emergere il fondamentale sottotesto sociale dell’operazione.
Quindi, tenendo in considerazione anche il fatto che torni in un certo senso alla memoria l’apprezzabile Super di James Gunn durante la visione, è d’obbligo l’acquisto dell’edizione in blu-ray edita da Lucky red, corredata di ricca sezione extra che, insieme a sette scene tagliate, un esauriente backstage diviso in undici parti, due trailer e il videoclip della mitica canzone del cartoon giapponese nella lenta reinterpretazione di Santamaria (che accompagna i titoli di coda), include cinque minuti di papere, diciannove di provini al cast, otto di comparazione tra storyboard e immagini girate e, infine, il cortometraggio manettiano Tiger boy.
Francesco Lomuscio