«Ho paura e ansia», si presenta così l’incipit del film di Malick, concepito fin dai tempi di The Tree of Life (2011) .
La voce di Cate Blanchett ci accompagna alla (ri)scoperta della Vita nell’ultimo lavoro di Terrence Malick, Voyage of Time, presentato in Concorso a Venezia 76.
Schermo nero e parole non proprio rassicuranti lasciano il posto a immagini accesissime, cariche di colore saettante, in un’antitesi volta al relax del nervo ottico.
Se Voyage of Time non fosse stato girato con macchina IMAX potrebbe tranquillamente passare come pronipote del tripudio ipersaturo del Technicolor anni Quaranta e Cinquanta. E, in effetti, non manca qualche rimando al Rito della primavera del disneyano Fantasia (1940).
Le sequenze che Malick mette in connessione vedono protagonisti una serie di elementi che hanno dato origine alla vita sulla Terra e alla sua natura, madre-matrigna generosa quanto crudele. Una violenza presente fin dai primordi, con lava incandescente, di un rosso deliziosamente esasperato, che cerca invano di insinuarsi tra le gelide acque marine.
La sala cade nella quiete, i gorgoglii delle acque, il soffio del vento o il cammino dei dinosauri sono l’unico suono in mezzo alle poltrone: la pace impera. Fino al risveglio della crudeltà: «Che mondo è questo?», si chiede la voce narrante intimorita, forse, da tanta volubilità (o violenza?) inarrestabile, quasi atta all’inganno; trasformata poi in vulnerabilità con la comparsa dell’uomo, della caccia, della tribalità del pasto, della mattanza immotivata.
La potenza visiva dimostrata, anche grazie alla bravura magistrale di Paul Atkins (direttore della fotografia) e Dan Glass (supervisore degli effetti speciali), avvolge lo spettatore nei quattro elementi che fanno capo a un’unica madre: la Natura. Cromatismi crepuscolari o albeggianti fanno da leitmotiv per gli occhi del Tempo, il divoratore per eccellenza, compagno della Vita madre di tutti noi, anche di chi ha dimenticato:
«può una madre dimenticare una figlia?»,
chiede la narratrice-Blanchett. Se è pure matrigna, sì.
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