L’ultimo lavoro di Amat Escalante, La region salvaje, è senza dubbio una delle proiezioni meno rassicuranti di questo concorso ad oggi ancora poco sorprendente. Il vincitore del premio cannense al miglior regista per Heli costruisce una storia di stampo realista sull’omofobia e le relazioni disfunzionali stravolta da un twist fantascientifico. La scena d’apertura riprende il volto di Veronica (Simone Bucio) in stato di massimo piacere. L’atmosfera che avviluppa la ragazza in questa posizione estatica degna dell’ultimo Lars Von Trier – non a casa Escalante condivide con il regista danese il direttore della fotografia Manuel Alberto Claro – è plumbea e cupa. Il quadro si allarga fino a comprendere il corpo nudo lussurioso della ragazza e a svelare una creatura tentacolare all’origine del piacere, un’entità aliena custodita da una coppia (di scienziati?) in un rifugio a Guanajuato. Se in Heli la spietata disamina del sistema sociale di matrice violenta, oppressiva e repressiva aderiva perfettamente al reale, in La region salvaje lo sguardo al sistema ripiega su una dimensione più intima e relazionale per un’esplorazione dell’idea di amore, onestà e responsabilità guidata, attraverso il piacere, dall’enigmatico polpo alieno. Il rimando a Possession di Andrzej Zulawski vien da sé. Questa ‘cosa’ dai tentacoli fallici è una macchina del sesso generatrice di piacere, ma anche di violenza: poiché connette i personaggi con i loro desideri più intimi e basici, istintivi più che razionali, rivelandogli la loro stessa natura. Il comportamento duale del polpo riflette e dipende dalla dicotomia sesso-violenza che alberga in chi gli si avvicina. Gli animi puri sopravvivono avviluppati nel piacere, gli animi più torbidi o turbati gli soccombono. Non sembrerebbe troppo azzardato considerare quest’entità una sorta di proiezione giudicante e punitiva della propria morale.
A fare la conoscenza di questa ‘cosa’, oltre alla gainsbourghiana Veronica, sono Ale (Ruth Ramos), madre di famiglia e operaia nella fabbrica di dolci della suocera, il fratello infermiere di Ale, Fabian (Eden Villavicencio), gay e compromesso in una relazione di sesso con il cognato Angel (Jesus Meza), omofobico e ambiguo. Tutto ha inizio quando Veronica, ferita in una sessione di sesso, finisce in ospedale sotto le cure di Fabian. I due, monadi in una società machista, legano subito. A parte la tresca omosessuale tra cognati e l’insoddisfazione sessuale di Ale verso il marito, poco si evince della vita e dei pensieri dei quattro: Angel è davvero omofobico o soltanto spaventato della sua omosessualità? O bisessualità? Ama la sua famiglia o è solo una copertura? E chi è Veronica? Oltre alla sua dipendenza ossessiva dalla ‘cosa’, o forse dal sesso in generale, cosa sappiamo di lei? Questo mancato ritratto psicologico è un punto debole nella storia.
Ingegnosamente Escalante usa il cinema di genere, l’horror politico, come denuncia del degrado etico-morale del suo paese, violento, maschilista e omofobo, e lo supera dando vita a un’opera destabilizzante dove realismo e horror fantascientifico si incontrano nell’onirico (da incubo) di intimità difficili.
Francesca Vantaggiato