Nelle sale cinematografiche abbiamo avuto modo di vederlo, soltanto fugacemente, all’inizio del Dicembre 2014, soltanto pochi mesi dopo il suo passaggio sugli schermi del Fantafestival di Roma, dove si è aggiudicato il premio Mario Bava per la migliore opera prima.
Diretto dall’argentino Lucas Pavetto, The perfect husband approda su supporto dvd grazie a CG Home Video, portando finalmente coloro che non ne erano ancora a conoscenza alla scoperta della vicenda di Viola e Nicola, ovvero Gabriella Wright e Bret Roberts, i quali, travolti inaspettatamente da una interruzione di gravidanza, decidono di affrontare la crisi trascorrendo il week-end all’interno di un isolato chalet di montagna.
La location azzeccata per qualsiasi film dell’orrore che si rispetti, come ben sanno i fan del genere; tanto che, dal momento in cui un folle sospetto comincia ad insinuarsi nell’uomo, la loro breve vacanza non può fare altro che trasformarsi in un vero e proprio incubo ad occhi aperti, richiamando in un certo senso alla memoria sia i thriller del sottovalutato Joseph Ruben (autore di The stepfather – Il patrigno, per intenderci), sia Alta tensione di Alexandre Aja (non a caso, nome che il regista ha dichiarato di apprezzare molto).
Man mano che alla lunga prima parte costruita sulla lenta attesa, ne segue una seconda riservata alla suspense ed agli spargimenti di liquido rosso, tra dita mozzate per mezzo di un’ascia, un occhio perforato e la protagonista che si ritrova ammanettata al letto.
Fino ad approdare ad un inaspettato epilogo che, in maniera tutt’altro che banale ed intelligentemente, sembra addirittura spingere a sprofondare in riflessioni nei confronti di tanti tristi fatti di cronaca nera spesso facilmente bollati come femminicidi, ma che possono nascondere, invece, altre inimmaginabili verità.
Il trailer, un backstage di venticinque minuti e il cortometraggio interpretato da Crisula Stafida e Damiano Verrocchi da cui il film ha avuto origine arricchiscono il disco, che, in fatto di novità digitali horror nel catalogo CG va ad affiancare una notevole riscoperta targata Mustang Entertainment: …e tu vivrai nel terrore! L’aldilà, il capolavoro dello splatter tricolore firmato da Lucio Fulci nel lontano 1981.
Capolavoro che – secondo capitolo della ideale trilogia lovecraftiana iniziata dal cineasta romano tramite Paura nella città dei morti viventi e conclusa con Quella villa accanto al cimitero – viene introdotto da un prologo ambientato nella Louisiana del 1927, portando in scena un pittore accusato di stregoneria e che viene crudelmente crocifisso e murato vivo dagli abitanti del posto.
Prologo dopo cui si passa al presente, in un albergo che si scopre essere stato costruito su una delle sette porte degli inferi, ricordando in maniera il soggetto su cui venne messo in piedi l’anno precedente Inferno di Dario Argento.
Del resto, proprio come nel caso della pellicola diretta da colui cui dobbiamo Profondo rosso e Tenebre, l’idea di partenza non rappresenta altro che il pretesto per poter inscenare sequenze raccapriccianti l’una dopo l’altra, ricorrendo esclusivamente all’occhio della macchina da presa al fine di generare paura e tenendo volutamente emarginate l’importanza della logica e della sintassi.
Pretesto che consente al responsabile dell’eccellente Non si sevizia un paperino di sfoggiare la sua inconfondibile poetica del gore e di portarla ad altissimi livelli nello sfruttare una sceneggiatura che finisce per poggiare abilmente sulle immagini, impreziosite dalla splendida fotografia di Sergio Salvati.
Mentre i dialoghi assumono ben poca importanza e si spazia da bulbi oculari cavati ad un giovane Michele Mirabella dal volto devastato dalle tarantole, passando per morti viventi che non mancano di risultare tra i migliori e più spaventosi della storia della Settima arte.
Per culminare nella spiazzante e coraggiosa conclusione priva di speranza di una delle vette irraggiungibili del cinema dell’orrore tricolore… oltretutto impreziosita dai sempre ottimi effetti speciali di trucco a cura di Giannetto De Rossi e dalle inquietanti musiche di Fabio Frizzi.
Francesco Lomuscio