Sinossi: Julien e Marguerite de Ravalet, figli del Signore di Tourlaville, si amano teneramente fin da bambini. Diventati adulti, il loro affetto si trasforma in irrefrenabile passione. Scandalizzata dal loro legame, la comunità di Tourlaville inizia a dare la caccia ai due fratelli che, incapaci di resistere ai loro sentimenti, decidono di fuggire…
Recensione: Valérie Donzelli si cimenta con una sceneggiatura che Jean Gruault scrisse per Francois Truffaut, tratta da una storia vera, ambientata in un’epoca cavalleresca, attraverso cui, in virtù della grazia del suo tocco, affronta tantissime decisive questioni. La storia dell’amore incestuoso tra due fratelli che si amano fin dall’infanzia, che non può che finire tragicamente, diviene l’occasione a partire da cui la regista, tramite un trattamento temporale libero – sono presenti tantissimi, deliziosi anacronismi che liberano un flusso che contesta senza sosta la dimensione cronologia della Storia -, evoca la ‘nostalgia dell’origine’, laddove il rapporto simbiotico/fusionale di Julien e Marguerite si fa metafora di quella compressione massiva d’essere che si situa prima del concetto d’identità, prima che l’essere si ‘schiacci’ sull’ente, e l’emotività diviene l’unica traccia che illumina un cammino che, seppur interdetto, non può che ostinatamente compiersi. Julien e Marguerite trasgrediscono senza sosta la Legge, sono disobbedienti fino in fondo, un po’ come il cannibale Pierre Clementi di Porcile di Pier Paolo Pasolini, e dunque la punizione cui vanno incontro è tremenda, anche se essi, in cuor loro, non fanno altro che seguire una pulsione che vivono in tutta naturalezza, fedeli a uno stato di Natura che si oppone tenacemente alla Cultura. Qui non c’è solo la giustapposizione di due modi d’essere aventi pari dignità ontologica, ma il tentativo ‘illegittimo’, eppure sacrosanto, di dare forma a ciò che non può essere costretto, in quanto eccedente le categorie dello spazio e del tempo; ci si posiziona in quella fase in cui è necessaria una ‘trasfigurazione’ che renda sostenibile ciò che si mostra come illimitato e informe, eppure sublime e commovente, necessario.
Come rassegnarsi al disastro della Storia, alla triste vicenda dell’angelo benjaminiano che, voltandosi, non vede altro che erigersi colonne di macerie dietro di lui? Come smarcarsi dall’equivoco del linguaggio e i suoi buchi neri? Si avverte viva l’esigenza di retrocedere a una fase prelinguistica in cui regna l’armonia totale, un afflato che abbraccia tutte le cose riunite fusionalmente, prima di precipitare nell’abisso di una differenziazione che espone drammaticamente allo sguardo dell’altro, dove l’unica speranza che ci sostiene è quella di riuscire a interrompere l’inarrestabile processo di oggettivazione di cui siamo quotidianamente bersaglio. D’altronde come altro interpretare il bellissimo finale che Donzelli, dopo che i due protagonisti subiscono la più dura delle pene, ‘appiccica’ gioiosamente, urlando tutta la propria nostalgia per l’origine smarrita? “Ora siamo qui… siamo corteccia …siamo rocce…”: dicono all’unisono le voci dei due martiri, restituiti alla loro primitiva condizione indifferenziata, in cui davvero si può fare esperienza di un amore totale, onnipresente, non soggetto alle schermaglie miserevoli del tempo, a quel relativismo insopportabile che ne contaminerebbe la purezza.
Certo, Marguerite e Julien – La leggenda degli amanti impossibili non è un film perfetto, dato che i temi cui allude sono talmente importanti da far venire il capogiro, eppure la tensione che lo anima è così sincera e viscerale da renderlo un piccolo capolavoro, degno della massima attenzione, e dispiace che non abbia ricevuto i dovuti riconoscimenti alla recente edizione del Festival di Cannes. Troppo ambizioso? Può darsi, ma perché non osare, anche col rischio di rendersi ridicoli, pur di esprimere ciò che davvero cova nel più profondo dell’anima?
Siamo davvero grati, dunque, alla giovane regista francese (1973), che al suo quarto film conferma uno spiccato talento, che speriamo si consolidi nel tempo, regalandoci opere altrettanto suggestive e stimolanti. Non perdete l’occasione di condividere questo estremo atto d’amore, insofferente alla Legge, a qualsiasi logica economica (finanche psichica), tutto teso a riattualizzare un’essenza fatalmente smarrita.
Luca Biscontini