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L’uomo nell’ombra

«Con “L’uomo nell’ombra”, Roman Polanski, in sala dopo cinque anni dal suo “Oliver Twist”, torna a calcare le assi del thriller, stavolta condito in salsa politica».

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Un giovane scrittore inglese (Ewan McGregor) viene incaricato di portare a compimento, come ghostwriter, la stesura dell’”autobiografia” dell’ex primo ministro inglese Adam Lang (Pierce Brosnan), dopo la prematura e accidentale scomparsa dello scrittore che da anni collaborava col politico. Nonostante lo scarso interesse creativo, la proposta è difficile da rifiutare, soprattutto per l’offerta economica davvero succulenta. Il ghostwriter dovrà partire la sera stessa per un’isola sperduta della costa orientale degli Stati Uniti e passare un mese accanto a mr. Lang, per riuscire a scavare nel suo cuore, oltre che nella sua vita politica.

Fin da subito, però, lo scrittore si troverà invischiato in qualcosa di torbido. Qualcosa che sino alla fine non riuscirà a mettere a fuoco, ma che, ugualmente, lo imprigionerà sin dal momento in cui, ancora prima di incontrarlo, verrà a conoscenza delle accuse di terribili crimini di guerra mosse verso l’ex primo ministro.

Roman Polanski, in sala dopo cinque anni dal suo Oliver Twist (2005), torna a calcare le assi del thriller, stavolta condito in salsa politica.

L’uomo nell’ombra, tratto dal romanzo The Ghostwriter di Robert Harris (con cui il regista ha collaborato anche alla stesura della sceneggiatura del film), specula in maniera elegante, e mai sopra le righe, sul tema del “non fidarti di nessuno”.

Il ghostwriter si troverà ad indagare sui possibili trascorsi dell’ex premier britannico come agente segreto della CIA, e sulla possibilità che l’incidente in cui lo scrittore che l’aveva preceduto aveva perso la vita sia in realtà doloso; come se non bastasse si troverà a fare da spartiacque nella non più felice vita matrimoniale dei coniugi Lang.

A dividere le scene con l’anonimo ma acuto protagonista è il manoscritto redatto dal suo predecessore che, quasi pronto per la stampa, oltre a contenere, ben criptata, la soluzione del mistero che aleggia attorno alla famiglia Lang, ruberà definitivamente la scena al suo comprimario in un eccezionale finale che, purtroppo, rappresenta l’unica vetta raggiunta da L’uomo nell’ombra.

Polanski firma un’opera insapore, istruita ma troppo impersonale, quasi a voler dimostrare una supremazia data al romanzo di Harris, cui si deve la trovata davvero originale di trasformare il navigatore satellitare di una delle auto di servizio della magione Lang nel più fedele informatore dello scrittore.

Ma se Harris si mostra attento e presente, attraverso il lavoro di adattamento del romanzo, e il giovane protagonista non vuol proprio saperne di vivere nell’ombra del suo assistito, chi sembra scomparire è proprio Polanski (ghostdirector più che ghostwriter), di cui si riconoscono sicuramente le forti dosi di humour nero. Viene da chiedersi dove sia finito l’autore di film “fuori dall’ordinario”, come Rosemary’s Baby (1968) e L’inquilino del terzo piano (1975).

Al Festival di Berlino L’uomo nell’ombra è riuscito, comunque, a regalare a Roman Polanski l’Orso d’Argento come Miglior Regia.

Luca Ruocco

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