Sinossi: Ritchie Vance si vanta di aver scoperto dal nulla star del calibro di Madonna, ma attualmente è alla canna del gas e non sa come tirare avanti. Perciò, quando gli viene proposto di far esibire la sconosciuta artista Ronnie in Afghanistan per le truppe statunitensi, non se lo fa ripetere due volte e trascina la riluttante cantante in un Paese in guerra. La fifa di Ronnie, però, non perdona e costringe la ragazza a scappare, portando via con sé il portafogli e il passaporto del suo manager. A corto di soldi e senza documenti, Ritchie accetta di portare un carico di armi fino a un villaggio Pashtun poco lontano da Kabul. Qui incontra la giovane Salima dalla voce melodiosa e decide di presentarla sul palco del famoso show televisivo Afghan Star. C’è un solo problema: alle donne è tassativamente proibito cantare, pena la morte!
Recensione: Piacevole, ma non certo memorabile. Per chi possiede il dono della sintesi, questo sarebbe il commento più stringato ed essenziale su Rock the Kasbah di Barry Levinson. Non servirebbe neppure andare oltre il limite dei 140 caratteri di Twitter per ammosciare qualunque genere di aspettative uno nasconda nel cassetto. Decisamente un po’ poco per un regista Premio Oscar nel 1988 con Rain Man – L’uomo della pioggia e per l’autore di un grande cult come Good Morning, Vietnam con il compianto Robin Williams. Curioso poi come, anche in questo caso, Levinson costruisca il film intorno alla simpatia lunare dell’istrionico Bill Murray, mattatore del film.
Rock the Kasbah mostra la guerra da un’angolazione diversa rispetto alla quale siamo soliti esaminarla, soprattutto al cinema. Il regista americano maneggia il grimaldello della commedia ottimistica per colpire al cuore dello spettatore, badando bene a non mettere mai il piede nella farsa. L’intenzione di Levinson è quella di buttare il pubblico, alla stregua del protagonista del film, all’interno di un’avventura a prima vista insensata, che prenderà poi la piega della bonarietà e della generosa fratellanza, all’insegna di un mastodontico “volemose bene” finale. Avete presente Vogliamo vivere, Il grande dittatore, M.A.S.H.? Sì? Beh, scendete da quelle vette inarrivabili, perché il risultato è molto più terra terra.
Senza tanti giri di parole Rock the Kasbah è un’opera imperfetta con una sceneggiatura sconnessa per i continui salti di tonalità all’interno della storia. Per ovvie ragioni, si potrebbe pensare che un lungometraggio il cui titolo ricalca la famosissima hit dei Clash sia immune da qualsiasi critica inerente lo “specifico” musicale. Invece, la soundtrack di Rock the Kasbah – pur vantando brani di Cat Stevens, Bob Dylan, Leem Lubany, etc. – sembra più che altro una playlist di riempimento del mero ambiente audiovisivo e non la colonna portante di una storia in cui il potere della musica consente di perpetrare miracoli inaspettati.
Il faccione ipnotizzante di Murray cerca di rendere possibile qualsiasi stregoneria, compresa quella di provare empatia per un cinquantenne loser rifiutato dall’industria musicale, che non possiede di certo il piglio dell’eroe e tira la carretta truffando poveri illusi. E, alla fine, questa “strategia di marketing” che odora di menzogna poetica riesce pure, senonché non basta questa mossa azzeccata per gridare alla salvezza del film. In Rock the Kasbah il tratteggio dei personaggi secondari è tutt’altro che a prova di bomba e l’impiego superficiale di attori quali Bruce Willis, Kate Hudson, Zooey Deschanel, Scott Caan e Danny McBride è assolutamente inspiegabile, come incomprensibile è il perché parte del cast sia liquidata con tanta immediatezza dallo script. Ma, tutto ciò non impedisce che l’impulso naturale di ridere di fronte alle battute e a situazioni poco convenzionali sia messo a repentaglio, prova ne è la sequenza in cui Richie Vance intona a squarciagola una sua personale versione di Smoke on the water dei Deep Purple.
Maria Cristina Caponi