“Giorgio Colangeli chi?”.
Immagino possa essere più o meno questa la reazione di chi dovesse sentirsi chiedere dell’attore romano così, a bruciapelo, senza l’aiuto immediato di una sua foto a portata di mano.
Perché è vero, nonostante sia uno degli attori italiani più presenti sullo schermo negli ultimi vent’anni, Colangeli non ha ancora raggiunto, almeno tra i non addetti ai lavori, quello status che garantisce ad un attore l’accostamento immediato di un volto a un nome.
L’impressione è quasi che Colangeli, ai clamori della fama, abbia fin da subito preferito il basso profilo di chi considera il mestiere dell’attore più come un lavoro stricto sensu che non come una vetrina.
Lo dimostra anche con la sua scarsa propensione al facile trasformismo, al quale oppone invece una straordinaria abilità nell’imporre la propria fisicità da uomo comune – a volte severa, altre invece bonaria – ai personaggi che va ad interpretare e in questo suo modo quasi ordinario di abitare i ruoli risiede anche forse il motivo della sua scarsa riconoscibilità presso il grande pubblico.
Lo stesso basso profilo Colangeli lo ha mostrato nella discrezione con cui vive un privato di cui quasi nulla si sa, se non di una laurea in Fisica Nucleare conseguita immediatamente prima di dedicarsi alla recitazione.
Dopo una lunga gavetta in teatro l’attore esordisce al cinema nel 1995, con un ruolo secondario in Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana.
All’epoca ha ormai già superato i quaranta, ma da quel momento in poi non si è più fermato, fino a diventare, in qualche modo, IL caratterista del cinema italiano.
Lo stesso Giordana lo vorrà anni dopo in un ruolo, stavolta più centrale, nel suo Romanzo di una strage e non è l’unico autore a ricorrere più di una volta a Colangeli, che ha recitato per ben tre volte sotto la direzione di Ettore Scola (nel corale La cena, in Concorrenza sleale e Gente di Roma) e in due film di Paolo Sorrentino, di cui è doveroso almeno citare il Salvo Lima de Il divo.
Una delle sue prove più intense rimane però quella del palazzinaro dal cuore d’oro ne La nostra vita di Daniele Luchetti.
Oltre ad aver lavorato con alcuni dei Maestri riconosciuti del cinema italiano, Colangeli ha sempre dimostrato grande sensibilità nel dare fiducia anche ad autori più giovani, come in Tatanka di Giuseppe Gagliardi, Qualche nuvola di Saverio Di Biagio o il recentissimo Bolgia totale di Matteo Scifoni che gli ha anche regalato il suo primo e meritato ruolo da protagonista.
Ma la lista dei film a cui l’interprete ha partecipato negli ultimi vent’anni è davvero ricchissima di titoli, troppi da citare oltre.
Volendo però tirare le somme e desumere una particolare cifra distintiva dell’attore, questa pare risiedere nella totale mancanza di qualsivoglia forma di snobismo intellettuale che gli ha permesso di approcciare in carriera sia opere più dichiaratamente commerciali – era, ad esempio con Aldo, Giovanni e Giacomo ne La banda dei Babbi Natale di Paolo Genovese – che la, da molti vituperata, TV.
Lo ricordiamo, ad esempio, nei panni del discografico Alfio Ceroni nel biopic su Rino Gaetano Ma il cielo è sempre più blu, per quanto non si sia negato neanche alcune sortite nella lunga serialità come in Distretto di polizia, I liceali o il recente Braccialetti rossi.
Per dire di un attore per cui la recitazione sembra vissuta davvero più come un mestiere che non un’arte e che va oltre gli spesso sterili steccati che dividono l’alto dal basso per fare semplicemente il meglio che può in qualsiasi contesto si trovi ad operare.
Fabio Giusti