Azzardiamo una considerazione: il percorso nel cinema di Asia Argento è un percorso da “ultima diva conosciuta”, perché, riteniamo, il suo è davvero un percorso marcato, segnalato, autentico. Ora che ha smesso poi di essere attrice questo percorso da “diva”, proprio tra virgolette, è ancora più sottolineato, preciso. Al suo cospetto sentiamo che è proprio un’urgenza, una necessità, cercare di capire chi sia veramente Asia Argento. Quindi azzardiamo un’altra considerazione: Asia è una coscienza, una responsabilità artistica, semplicemente, e tra le più belle e spontanee. Asia è davvero una grande bellezza psicologica, poetica, dove la banalità non è mai riuscita ad abitare la sua persona. Asia è, proprio nell’insieme e nella apparenza, ambigua, solare, raffinata, intrepida, fragile. E, proprio per questa apparenza sottolineata, può non essere tutto ciò. Asia semplicemente è. Diva recalcitrante? Viziata e bizzarra? Personaggio maledetto? Anche un po’ dark? Ma andiamo, lasciamola alle menti lobotomizzate, nutrite più che altro da secche e consumate banalità, tali considerazioni, che pure un tempo erano state lanciate e che ci avevano per anni anche reso prevenuti. Asia è semplicemente una personalità. E lo avevamo capito già da Asia bambina, da Zoo, precisamente, il film di Cristina Comencini, girato nel 1988. Asia quindi è stata attrice da subito, ad undici anni (oggi riconferma però di non volere più essere l’attrice) e proprio sul set del film che noi riteniamo il miglior film della Comencini regista, appunto Zoo, una pellicola potente, un deciso pugno nello stomaco sferrato a certe coscienze, netto e chiaro era ed è il messaggio che Zoo imprime e che noi in pieno sottoscriviamo: i giardini zoologici sono stati, e restano, la più infamia delle nostre istituzioni sociali. Si vedeva nettamente la partecipazione “eppure bambina” di Asia, con il cuore diritto e puntato verso la pietà per gli animali costretti a vivere, in fondo, una prigionia immeritata. Negli occhi di Asia interprete si leggeva, tutto in cristallino, questo dolore. E siamo rimasti colpiti, decisamente affascinati, da tale poesia espressiva. Davvero Asia attrice in Zoo era perfetta, d’altronde il tema del film era fortemente in ambivalenza anche con il cinema del terrore e con quello dei sentimenti più buoni, un cinema del terrore che poi Asia, in fin dei conti, ha respirato sin dalla nascita.
Noi pensiamo che Asia Argento è, in qualche maniera, la figlia nata da Profondo rosso, proprio dal capolavoro del papà Dario e della mamma Daria Nicolodi, quindi Asia davvero sa muoversi e resta a suo agio e nel mistero e tra i fruscii e gli spaventi, tra i segni irrazionali e tra i segnali inquietanti, tutte situazioni che hanno poi sottolineato per bene proprio la sua recitazione e legato il suo personaggio, che a noi è sembrato, in tutti i film interpretati, sempre da magistero. Asia ammette oggi che quel suo primissimo set è stata davvero una esperienza dura. Dice Asia Argento: “si lavorava molto, la regista era molto determinata e decisa, lavoravo anche dodici ore al giorno, e per i bambini è davvero una fatica, ero diventata la bestiola nera degli aiuto registi…”. Ricorda divertita Asia Argento: “l’aiuto della Comencini, Roberto Pariante, l’ho colto proprio in flagrante mentre parlava, molto seccato, della mia ribellione e della mia intolleranza verso certe decisioni del set…”. Il vero esordio di Asia Argento regista è un esordio di fatto dimenticato. Nel 1994 Asia gira l’episodio Prospettive, per il film collettivo De Generazione. È una pellicola che ha come regola un progetto comune condiviso insieme agli altri registi che completano il cast autoriale: Piergiorgio Bellocchio, Manetti Bros, Andrea Maulà, Alberto Taraglio, Alex Infascelli, Antonio Antonelli, Andrea Prandstraller, Eleonora Fiorini, Alessandro Valori. L’intenzione tra il collettivo di registi, tutti molto giovani e tutti al loro primo tentativo di regia, era quella di realizzare un film fuori dai canoni più normali per il cinema italiano. Ed infatti già in quel frammento di film, proprio esattamente, si intuiva la poetica radicale di Asia Argento, adrenalinica e con i suoi narrati sempre al di fuori di mode comode e banali. Insomma Asia Argento era già una regista decisa ed ispirata. D’altronde ancora bambina Asia Argento poteva abbeverarsi già alla fonte di registi sapienti: Dario Argento, Nanni Moretti, Michele Placido, Carlo Verdone, Peter Del Monte, Abel Ferrara. Tutto ciò è stata una grande ricchezza per Asia, insostituibile certamente, e decisamente migliore di ogni accademia. D’altronde Asia ha vissuto poi tutte queste esperienze con una grande e piena presa di coscienza, quasi un tentativo a respingere un’esperienza, sul piano psicologico, dentro e fuori i set, tutt’altro che facile e dorata. Soprattutto per Abel Ferrara Asia confessa di nutrire davvero una profonda venerazione, oggi non nega assolutamente di dovergli la parte migliore della sua professionalità di regista.
Dice Asia Argento: “in realtà all’inizio della mia carriera di attrice ho avuto tutti registi manipolatori. Per questo mi sono convinta che il lavoro del regista era soprattutto quello di manipolare l’attore. E nei miei primi due film, Scarlet Diva e Ingannevole è il cuore sopra ogni cosa sono stata esattamente così, una manipolatrice. Ed era un errore per la mia coscienza di regista. Io sono stata davvero male per questo. In quei due set mi sentivo persino onnipotente rispetto al resto della troupe. Ero in pieno delirio, pensavo anche, in qualche maniera, di essere in grado di rivoluzionare il modo di fare cinema…”. Asia Argento diventa regista e gira il suo primo film, Scarlet Diva, “supportata da un ego pazzesco” come dice, dopo aver incontrato Abel Ferrara e girato il suo film New Rose Hotel, 1998. Nel frattempo Asia dedicherà a Ferrara anche un raro cortometraggio, il valore di un confronto, dal titolo molto determinato, Abel/Asia, 1998. Dice Asia Argento: “Glielo dovevo. Abel Ferrara è stato il regista che più di tutti si è preso la briga di spiegarmi esattamente come lui faceva e voleva le cose. Abel ha una maniera di fare cinema che io gli ho rubato letteralmente. Abel lavora con due macchine, una larga ed una stretta e mi ha insegnato che un attore non deve mai inseguire la macchina ma è la macchina, viceversa, che deve seguire l’attore”. E non è un caso che Asia citi Abel Ferrara come maestro. Il cinema di Ferrara ha sempre avuto al centro del proprio cinema, nella essenzialità proprio delle sue immagini, la narrazione della corporeità dei personaggi, la poetica del personaggio-corpo, finanche nella forma violenta della espressione dei corpi. Un’essenzialità questa che traspare, pensiamo, anche dai primi tre film di Asia Argento regista. Infine, non è un caso nemmeno, dietro queste premesse, che Abel Ferrara abbia dedicato un film all’uomo, fragile, Pier Paolo Pasolini.
Dice ancora Asia Argento: “i miei momenti di attrice più divertenti li ho vissuti quando ho incontrato quei registi che tra la loro tecnica avevano anche quella di fare improvvisare l’attore. Perché il mestiere di attore non è assolutamente un mestiere creativo, tuttavia, e non c’è niente di male in questo, il mestiere di attore è un mestiere esattamente esecutivo. Beninteso l’attore non deve essere servizievole, deve essere e restare orgogliosamente al servizio del regista e del suo film”. E quale è stata l’evoluzione che hai constatato nel tuo percorso di regista, dal tuo primo insomma, all’ultimo film? Dice Asia Argento: “è cambiata esattamente la convinzione che fare film non è una condizione assolutamente personale. Io alla lavorazione del mio primo film, ed in parte anche nel secondo, ero dominata, come ho detto, da un ego pazzesco, spropositato. Per questo ho sofferto moltissimo quei set. E questa sofferenza, Scarlet Diva, il film, la avverte tutta intera. Tra i miei limiti c’era anche l’aggressività, sul set e fuori dal set, ma semplicemente perché ero molto fragile”. Continua Asia Argento: “c’è tutta una equipe intorno quando lavori ad un film, una equipe tecnica ed artistica che deve reclamare la propria autorità ed anche la propria indipendenza psicologica dal regista, e questo l’ho capito in profondità poco tempo prima di girare il mio terzo film, Incompresa, che è stato proprio il risultato positivo di un lavoro profondamente di gruppo. Sapevo in quel film, fin dal primo ciak, che non potevo rinunciare alle persone che avevo intorno. Capire assolutamente questo è indispensabile per un regista. E se non lo capisci da solo, fortunatamente, è la vita che, grazie a Dio ti bastona quando ti credi sto cazzo…”.
Incompresa naturalmente è il film del nuovo corso di Asia Argento, ed è un film bello, notevole, un film che è anche un omaggio, ci piace rimarcarlo, di Incompreso, il bel film di Luigi Comencini girato nel 1966, un omaggio che Asia è riuscita a regalare alla poetica di Luigi Comencini senza minimamente sfiorarne l’imitazione. Il film, in ultima analisi, è un diario che attesta un vuoto affettivo vissuto da una ragazzina di nome Aria (all’anagrafe poi Asia Argento è davvero Aria) che avverte assolutamente di essere una di troppo tra i suoi genitori, persone indifferenti e superficiali, proiettasti soprattutto alle loro vite, spese innanzitutto tra arte e presenzialismo. Asia oggi ammette che il film ha una solida radice autobiografica, dimensione che un tempo lei stessa negava, un diniego che nasceva proprio per un senso di difesa, di Asia naturalmente ma soprattutto verso i suoi celebri genitori. Ed è un film, Incompresa, dove Asia non interpreta nessun ruolo, ed è un film che arriva dopo che, per una decina di anni, Asia Argento ha continuato solamente a fare l’attrice ma sempre, come lei stessa ha spesso spiegato, con crescente delusione. Dice Asia Argento: “In Transylvania di Tony Gatlif, girato nel 2006, credo che li si trovi il mio ultimo ruolo veramente appagante…”. Dice Asia Argento di avere avuto il flash per Incompresa dopo aver visto l’immagine di una bambina accompagnata da un gatto, in quel frammento ha avuta netta la sensazione, la ragione del vuoto di affetto, un ricordo anche, forse oggi banale per la maturità psicologica di Asia, ma quella immagine è stata una sensazione violenta che l’ha fatta riflettere. Appunto da fare nascere immediatamente l’ipotesi del film. Che dire ancora su Incompresa? Semplicemente che il finale del film è splendido, un quadro struggente, e va raccontato. È nella notte in cui Aria, rifiutata sia dal padre che dalla madre, vaga ai margini di una strada, le persone che incontra sono in definitiva delle realtà umani ancora più marginali. Ma non c’è assolutamente giudizio in questo. Poi è tra un gruppo di prostitute che Aria trova accoglienza, mentre tutt’intorno è un crogiuolo di amplessi mercenari. È qui, tra di loro, che Aria si addormenta, stretta al suo gatto nero. Nella mente, nostra naturalmente, un attacco proprio di nostalgia, la canzone delle Orme, notevole gruppo del progressive italiano degli anni settanta, Figure di cartone. Molto può nascere su questo splendido finale.
Giovanni Berardi