Il nome di Paolo Gaudio non ci era di certo sconosciuto. Lo ricordavamo ad esempio per il bell’adattamento del racconto di Edgar Allan Poe, The Black Cat, inserito nel film collettivo P.O.E. Poetry of Eerie e girato interamente in stop motion. Qui a Bologna ci ha fatto particolarmente piacere imbatterci, come primo evento del Future Film Festival cui abbiamo potuto assistere, nella proiezione del suo lungometraggio d’esordio, Fantasticherie di un passeggiatore solitario, che si spera possa avere a breve una distribuzione regolare nelle sale. Il film se la meriterebbe tutta, perché, anche al di là di qualche calo di ritmo e delle forse prevedibili incertezze interpretative nella parte “live action”, può vantare un approccio al fantastico insolito, indubbiamente brillante e pieno di soluzioni stimolanti sul piano visivo.
Introdotto al Future dai padroni di casa Oscar Cosulich e Luca Della Casa, che ne hanno anticipato alcuni tratti specifici assieme all’autore Paolo Gaudio e a Dennis Cabella, il quale a sua volta ha offerto un importante contributo alla realizzazione sia in chiave produttiva che di supervisione degli effetti speciali, Fantasticherie di un passeggiatore solitario è un racconto cinematografico le cui ambizioni non volano affatto basso: già la volontà di ambientare la storia in epoche e cornici differenti, mescolando tra loro svariate tecniche di ripresa, è indice del coraggio di fondo che una produzione del genere può vantare almeno in Italia, dove simili esperimenti si tentano raramente.
Con un’ispirazione remota proveniente addirittura da Le fantasticherie del passeggiatore solitario, opera di Jean-Jacques Rousseau rimasta incompiuta, un cineasta giovane creativo come Gaudio si è divertito a immaginare le diverse aperture nei confronti del magico offerte dal misterioso manoscritto, di cui risalta quella “Fantasticheria n° 23: l’ultima ricetta” avente come protagonista un bambino che vaga di notte circondato da strane creature in un bosco senza tempo; un segmento, questo, realizzato dal regista attraverso le tecniche di animazione a lui più congeniali.
L’animazione a passo uno dei pupazzi si mescola quindi con altre tecniche visive e con quella parte “live action” recitata da attori, i cui personaggi così spesso bizzarri ed eccentrici sono destinati ad entrare in contatto, un po’ alla volta, col potenziale esoterico del manoscritto. Non tutti questi siparietti funzionano a dovere. Ma i più riusciti sanno calamitare l’attenzione dello spettatore in modo magnetico, onirico. Riguardo al cast, il nome più noto è senz’altro quello di Luca Lionello, ma accanto ad altre presenze fortemente caratterizzanti non si può non notare quella di Domiziano Cristopharo: vulcanico cineasta, a sua volta, cui si debbono alcune tra le produzioni di genere italiane più interessanti degli ultimi anni, ma qui impiegato come attore nel ruolo di un demiurgo istrionico e dalla parlantina suadente.
Stefano Coccia