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Tokyo Tribe, l’ultima follia di Sion Sono, al Future Film Festival

Tokyo Tribe di Sion Sono è un caleidoscopio di luci, colori, mazzate e tette ondeggianti. Presentato in tarda serata, per quei pochi coraggiosi che hanno trovato la forza di rimanere fino alla fine, il film è un MUST TO SEE per tutti gli amanti dei film esagerati, deliranti e un po’ scorretti, ma girati da Dio grazie ad uno dei migliori registi che il cinema contemporaneo abbia visto.

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Il 5 maggio è iniziata la 17ma edizione del Future Film Festival, rassegna dedicata alle tecnologie applicate all’animazione, al cinema e ai new media con un’occhio di riguardo al futuro. Quest’anno il tema è Eat The Future, in linea con quello di Expo2015. Di seguito il video di presentazione del Festival.

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Quello di cui vi voglio parlare però, in questo articolo, è della straordinaria, folle e caleidoscopica proiezione a cui ho assistito ieri notte. Alle 22.30 avevo gli occhi impastati dal sonno a causa delle tante proiezione a cui avevo assistito in giornata.. Ma appena sono stati proiettati i primi fotogrammi di Tokyo Tribe, le mie fosche pupille sono uscite dal torpore. Tokyo Tribe (2014) è l’ultima fatica del cineasta giapponese Sion Sono e,visto che la maggior parte dei lettori non lo conoscerà, inizierei con qualche informazione sul regista.

Sion Sono (Toyokawa, Giappone, 1961) è uno dei registi giapponesi più conosciuti e apprezzati all’estero. Nei suoi film descrive la società nipponica in modo provocatorio e violento, con numerosi riferimenti alla cultura pop. Tra le sue opere più conosciute, il controverso Suicide Club (2002), che con Noriko’s Dinner Table (2005) fa parte di una trilogia sull’alienazione; Strange Circus (2005), con cui ha vinto il premio della giuria del Berliner Zeitung alla Berlinale 2006, e Love Exposure (2008), vincitore del Premio Fipresci e del Caligari Film Award alla Berlinale, nonché primo tassello della «trilogia dell’odio», di cui faranno parte Cold Fish (2010) e Guilty of Romance (2011). Con Himizu (2011) ha partecipato in concorso alla Mostra di Venezia, dove nel 2013 ha presentato Why Don’t You Play in Hell nella sezione Orizzonti.

Già solo dai nomi delle sue trilogie (“alienazione”, “odio”) si dovrebbe capire che i suoi film sono un tantino particolari. Tokyo Tribe è uno dei film più folli, visionari e maledettamente ben girati che abbia mai visto. Siamo di fronte ad un musical imperniato sui combattimenti (mani nude, katana, pistole, mazze e bastoni: avrete l’imbarazzo della scelta), sul sesso e sul nudo (mai volgare e sempre eccessivo e grottesco), e sulla stupidità umana.

Tokyo Tribe è un manga della miglior specie che prende vita e si muove sullo schermo. Il film è prima di tutto un’esperienza visiva. La fotografia, ipersaturata e fumettosa ci lancia in una città fatta di luci al neon (tipiche della capitale nipponica) che sono lo sfondo ideale per gli scontri spettacolari. Un miracolo, un capolavoro, un instant cult pop, una giostra psichedelica con musica: ecco come è stato più volte definito il film. Il tutto si svolge in una folle notte.

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Di seguito la sinossi.

In un futuro imprecisato Tokyo è un territorio diviso tra gang rivali, con la polizia inerme e che osserva le gesta dei delinquenti. Signore e padrone della rete malavitosa è il disgustoso Lord Buppa, dedito al cannibalismo e a sordide pratiche sessuali.  Lo scontro tra le varie gang è sempre dietro l’angolo e l’irreparabile accade quando Merra, il boss del quartiere a luci rosse di Burkuro, tende una trappola a Kai, componente della banda dei Musashino Saru, verso cui prova un odio implacabile. Il suo scopo non è solo quello di annientare tutti i capi rivali, ma sopratutto quello di attirare a sé Kai, che vede come la sua nemesi e di cui, per questo, vuole disfarsi. Tra le bande rivali si scatena la guerra, a colpi di mazze da baseball, katana e rime rap e hip hop.

Tratto dal manga di Santa Inoue, il regista è riuscito ha mettere in piedi un opera che unisce al meglio il linguaggio cinematografico (tutti gli straordinari piani sequenza o le funamboliche sequenze di combattimento ne sono un chiaro esempio) e quello del fumetto con un’attenzione meticolosa nel riportare su pellicola lo stile delirante del manga di partenza.

Tokyo Tribe è un film assolutamente pop ed esagerato, ma mai barocco ed “eccessivo”. Tutti i personaggi sono macchiette grottesche e deformate che, il 90% delle volte, strappano una bellissima e sonora risata. Il film, come detto all’inizio, si basa in gran parte su scene combattimento (che sono soprattutto straordinarie coreografie di street dance), di violenza (sempre eccessiva e per questo divertente ed entusiasmate) e sul sesso (domina la tipica ossessione nipponica sulle dimensioni del pene), tanto da portare il film vicino ai confini del softcore. Chi conosce, anche solo di striscio, la cultura dei manga giapponesi non resterà particolarmente stupito da questo scoppiettante mix. Qualche piccolo e divertentissimo esempio di follia cinematografica: una pistola che funge anche da cellulare, dita mozzate usate come dolcetto post-cena, maggiorate pistolamunite, un energumeno che ad ogni pungo che tira si sente un suono onomatopeico stile cartone animato e un’adorabile vecchietta che fa da DJ nei bassi fondi di Tokyo..

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Ha detto il regista

«Questo è un film che parla della vita di strada, quindi ho pensato che sarebbe stato molto più interessante affidarmi a persone provenienti davvero dalla strada piuttosto che ad attori professionisti. Così mi sono guardato intorno in cerca di rapper, e siccome a un certo punto è stato chiaro che alcuni di loro avrebbero preso parte al film, ho pensato che sarebbe stato meglio farli cantare. E siccome avrebbero dovuto cantare, era molto più intrigante farglielo fare come in un musical».

Tokyo Tribe è infatti un gangster movie, ma è anche un musical, ma è anche un film di cappa e spada, ma è anche un film che fa ridere e rilassare. Se siete amanti di un cinema calmo e riflessivo (alla Truffaut per intenderci) questo film non fa per voi, in caso contrario, benvenuti a bordo delle montagne russe più pazze su cui abbiate mai osato salire. Il film è una corsa visionaria in continua accelerazione e che porta ad una conclusione delirante e geniale: la perfetta chiusa per un film che alla fine, grazie ad un ritmo senza sosta, lascia lo spettatore senza fiato, ma felice di aver corso per oltre due ore insieme a questi gangster tanto sanguinari e violenti quanto impressionantemente simpatici e seducenti.

Di seguito il trailer del film

E ricordate, come viene detto alla fine del film

Non è la grandezza del pene a fare grande un uomo, ma la grandezza del suo cuore

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Andrea Bianciardi

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