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Considerazioni finali sul 13/mo Florence Korea Film Fest.

Si è chiusa domenica sera con la cerimonia di premiazione seguita dalla proiezione in anteprima nazionale di Haemoo di Shim Sung-bo

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Si è chiusa domenica sera con la cerimonia di premiazione seguita dalla proiezione in anteprima nazionale di Haemoo di Shim Sung-bo, il film candidato dalla Corea del Sud agli Oscar 2015, la tredicesima edizione del Florence Korea Film Fest. La kermesse, l’unica in Italia interamente dedicata al cinema sudcoreano, si è svolta nell’arco di dieci giorni al cinema Odeon e all’Istituto Stensen di Firenze, proponendo ben 34 lungometraggi – di cui la maggior parte in anteprima nazionale – e 20 cortometraggi.

I premi del pubblico per le sezioni Independent e Orizzonti sono andati rispettivamente a Socialphobia di Hong Seok-Jae, un atto d’accusa verso l’uso improprio e deleterio dei social che può portare a conseguenze irreparabili, e Slow Video di Kim Young Tak, una commedia agrodolce bizzarra e stralunata, dal romanticismo lieve e garbato.

Il Premio della Critica, che al suo interno annoverava anche il sottoscritto, è stato assegnato ad Alive di Park Jung-bum, un’opera seconda rigorosa, dura e respingente, con la seguente motivazione: “un film sul cui valore si è ritrovata tutta la giuria, uno sguardo crudo ma molto rispettoso sulla faccia “nascosta” della Corea del Sud: quella provincia remota, lontana dalla luccicante e produttiva modernità delle metropoli, dove la crisi continua a colpire gran parte della popolazione, coinvolta in processi produttivi arcaici che continuano a perpetuare una grande differenza di classe tra “padroni” e “operai”. Un disperato ritratto di quattro personaggi travolti dalla crisi e dal proprio disagio personale, mentale o affettivo che Park Jung-Bum scrive dirige e interpreta con l’autorità di un maestro”.

La menzione speciale è andata a A Girl at my door di Jung July con la seguente motivazione: “la giuria ha voluto riconoscere la bravura e il coraggio della regista Jung July che affronta problematiche molto particolari e delicate mostrandoci l’incontro di due vite segnate da un passato doloroso e un presente apparentemente senza speranza. Le due brave protagoniste attraversano una storia complessa che si confronta con i pregiudizi e le discriminazioni sociali e sessuali della società coreana, il tutto rappresentato con l’originalità, la delicatezza e la complicità che solo un punto di vista femminile può avere”.

Di buon livello l’edizione del Festival di quest’anno, con alcuni titoli davvero notevoli e interessanti. Restando alle due sezioni principali della manifestazione, oltre ai film premiati sono senz’altro da segnalare opere di genere come Man on high heels e Kundo: Age of the Rampant. Il primo è un action poliziesco insolito e sorprendente, dai toni quasi almodovariani, un film capace di condensare e racchiudere al suo interno diversi generi cinematografici, dal noir al melodramma passando per la commedia. La trama poliziesca è un puro pretesto per il regista per mettere in scena il dramma esistenziale di un uomo che vorrebbe cambiar vita e identità sessuale. Crudo, passionale, ironico e violento, con alcune sequenze indimenticabili e strazianti: cinema purissimo. Il secondo invece è un cappa e spada avventuroso fortemente contaminato col genere western, o meglio con lo spaghetti western. Evidente l’omaggio del regista Yun Jong-bin, che due anni fa aveva vinto il Premio della Critica con Nameless gangster, al cinema di Sergio Leone e Sergio Corbucci, con tanto di strizzatine d’occhio a Quentin Tarantino che a sua volta ha omaggiato più volte il nostro glorioso cinema di genere dei tempi che furono. Se nella prima parte il film fatica a carburare a causa di un eccessivo autocompiacimento, nella seconda parte l’ironia lascia il posto a sequenze spettacolari, drammatiche e potenti con combattimenti ben coreografati all’interno di scenari suggestivi ed evocativi. Una vera gioia per gli occhi, specie se visto sul grande schermo.

Interessante Hill of Freedom di Hong Sang-soo, già passato a Venezia, col classico – ormai riconoscibilissimo – marchio di fabbrica del suo autore, contraddistinto da un certo minimalismo esistenziale. Un film composto da piccoli quadri, frammenti sparsi da riordinare e assemblare. Da menzionare, tra i registi esordienti da tenere d’occhio, il giovanissimo Kim Tae-yong (classe 1987) che ha davvero ben figurato con Set me free, ritratto intimo e intenso su un ragazzo solo e disagiato.

haemoo

Ad inaugurare e a chiudere il festival due punte di diamante della recente produzione coreana: Roaring Currents  di Kim Han-min e Haemoo di Shim Sung-bo. Il primo è uno spettacolare kolossal in costume, divenuto in breve tempo il film più visto di sempre in Corea del Sud, che racconta l’epica battaglia combattuta nel 1597 tra la flotta coreana – guidata dal grande ammiraglio Hi interpretato da Choi Min-sik – e quella giapponese. Il secondo è il felice e sorprendente debutto dietro la macchina da presa di Shim Sung-bo che in passato aveva firmato lo script di Memories od Murder , thriller di culto diretto da Bong Joon-ho. Per questo suo esordio alla regia ritrova proprio Bong, qui in veste di produttore e cosceneggiatore. Liberamente ispirato a una storia vera, narra la vicenda dei marinai del peschereccio Jeonjiho, che dopo una notte di pesca andata male decidono di trasportare illegalmente in Corea del Sud un gruppo di immigrati clandestini. Un film ricco di sequenze indimenticabili e immagini plastiche e potenti, in bilico tra diversi generi cinematografici, dal thriller al dramma sociale, contraddistinto da una storia d’amore che in fondo in fondo ne è il vero cuore pulsante.

In conclusione non si può che prendere atto del buono stato di salute della cinematografia sud coreana, come sempre versatile, poliedrica e in grado di spaziare tra i vari generi con estrema disinvoltura ed una invidiabile vena creativa, resa possibile anche da una certa libertà produttiva del tutto estranea al nostro cinema contemporaneo.

Boris Schumacher

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