Chi è Dayani Cristal? è un documentario girato tra Messico e Regno Unito di Gael Garcìa Bernal e Marc Silver uscito nelle sale italiane per P.F.A. Films il 20 Novembre 2014
Trama
Nell’immenso deserto di Sonora, bruciato dal sole, la Polizia di Frontiera dell’Arizona scopre il corpo di un uomo in decomposizione. Sotto una maglietta lacerata, è esposto un tatuaggio: DAYANI CRISTAL.
Chi è quest’uomo? Cosa lo ha portato qui? Come è morto? Chi o cosa è “Dayani Cristal”?
Seguendo un team di persone della morgue della Contea di Pima, in Arizona, il regista Marc Silver cerca di rispondere a queste domande, per dare a quest’uomo un’identità.
Mentre l’indagine prosegue, l’attore e attivista messicano Gael García Bernal ripercorre i passi di quest’uomo, lungo il sentiero dei migranti in America Centrale. Nel tentativo di capire cosa debba aver provato nel suo ultimo viaggio, si mescola ai migranti nella missione imminente per varcare il confine. Sperimenta, in prima persona i pericoli che sono costretti ad affrontare e impara dalle loro motivazioni, dalle loro speranze e dalle loro paure.
Anno: 2013
Durata: 84′
Distribuzione: P.F.A. Films
Genere: Documentario
Nazionalita: Messico, Regno Unito
Regia: Gael García Bernal, Marc Silver
Data di uscita: 20 Novembre 2014
Preghiera del Migrante
Viaggiare verso di te, Signore, è vivere.
Partire è un po’ morire.
L’arrivo non è mai definitivo fino al riposo in te.
Tu, Signore, hai conosciuto la migrazione.
Tu hai guidato fuori dalla sua terra Abramo, padre di tutti i credenti.
Tu stesso sei divenuto migrante dal cielo alla terra.
RECENSIONE Chi è Dayani Cristal?
Vent’anni fa cadeva il Muro di Berlino e quest’anno si celebra quest’evento come simbolo di liberazione dall’oppressione e dalla divisione tra esseri umani. C’è, però, chi ancora si ostina ad investire sui muri anziché sulle persone. Uno dei tanti altri muri che ancora si ergono, invisibili o non, nel mondo è quello che separa il confine tra Messico e Stati Uniti. Abitanti degli Stati dell’America Latina provenienti da Honduras, Perù, El salvador, Nicaragua, Messico, ogni giorno, tentano il pericoloso, arduo oltrepassare di quel confine. Un viaggio avventuroso all’insegna di rischi di ogni natura: dai controlli e sequestri della Polizia di Frontiera dell’Arizona, alle impervie della natura e della sopportazione fisica e psicologica del corpo umano stesso. Attraverso villaggi, deserti, a bordo di carri,zattere e treni merci, i piedi e il capo patiscono il caldo cocente del giorno e il freddo estenuante delle notti. Sempre in fuga, sempre in clandestinità, con la speranza e il sogno di poter arrivare alla meta, per garantire un futuro dignitoso a se stessi e alla propria famiglia. Cibo, una casa, un lavoro. Cose a cui abbiamo tutti diritto. O forse no? La crudeltà dell’imperizia dei nostri governi ci condanna a pensare che non tutti abbiamo gli stessi diritti. E il solo farsi sfiorare da quel pensiero è un delitto. Un reato molto più grave di tutti quelli che, illegalmente, cercano disperatamente una possibilità per sopravvivere.
Ci addentriamo in questo viaggio, in questi paesaggi e in questi occhi di tutte queste persone grazie al documentario Chi è Dayani Cristal?, ideato, diretto e vissuto in prima persona da Gael Garcia Bernal e Marc Silver. Quest’ultimo è un giovane cineasta – ma soprattutto fotografo – inglese, il cui interesse è esplorare e immortalare con le proprie opere le barriere concrete ed apparenti di luoghi e volti spesso abbandonati e oppressi dal Potere (sul sito www.marcsilver.net è possibile ammirare i suoi bellissimi lavori). Gael Garcia Bernal, attore messicano di fama internazionale, è conosciuto non solo per la sua bravura in campo recitativo, ma per il suo impegno civile che, spesso, lo ha portato ad accettare ruoli scomodi (come, ad esempio, il giovane Che ne I diari della motocicletta o il pubblicitario/attivista René in No – i giorni dell’arcobaleno, ambientato in Cile durante la dittatura di Pinochet). Notoriamente attaccatissimo alle sue radici, stavolta interpreta semplicemente se stesso e decide di addentrarsi nel dramma della sua Terra, ripercorrendo i passi di uno dei migliaia di migranti scomparsi durante quel viaggio verso la libertà. Uno dei tanti uomini che hanno rischiato, non solo la vita, ma anche di diventare un cadavere senza nome. Sì, perché la maggior parte dei migranti che non ce l’hanno fatta sono, per il Sistema, soltanto un numeretto alla caviglia di un freddo tavolo d’obitorio. È difficile risalire alla famiglia di origine, anche solo all’identificazione del viso e del corpo, dato che purtroppo vengono ritrovati scheletriti o in stato di avanzata decomposizione. L’unico dettaglio che appare sul corpo senza vita di quest’uomo che permette la sua identificazione è un tatuaggio sul petto, su cui è evidente una scritta: Dayani Cristal. Gael parte, affiancato dalla macchina da presa di Marc, armato soltanto di uno zainetto, un cappellino, di un portafoglio contenente la foto dei sui figli e della Preghiera del Migrante: alla pari di tutti i suoi fratelli conterranei,quindi, senza alcuna agevolazione né privilegio, a cavallo tra vita e morte. Li vediamo domare La Bestia (è così che i migranti chiamano l’enorme, serpentesco treno merci sul quale dorso affrontano un lungo tratto del loro percorso, con poche provviste ma con tanto ottimismo), ascoltare i racconti del popolo densi di sofferenza, avvertimenti sulle difficoltà che avrebbero trovato sulla strada e fiduciose aspettative.
Evidente è lo sguardo attento e poetico della regia, tipico del più sensibile tra i fotografi. Sembra quasi di sfogliare un libro di pittura, dove i ritratti della gente non sono dipinti ma egualmente perfetti nei colori e nelle forme, e ci guardano dritto negli occhi. Gli occhi sono veri, così come le mani, le voci, i sorrisi, le lacrime e le luci degli spazi percorsi. Si svela, infine, il significato del tatuaggio. E sarà una rivelazione dolce e straziante. Quanto ancora si dovrà patire e morire affinchè questi muri vengano abbattuti? Di sicuro c’è tanto da imparare dalla cultura e dal cuore dei popoli latini: caparbi, rivoluzionari, uniti dalla loro Storia, dalle tradizioni e dalla forte spiritualità. E dai registi di questo emozionante documentario che, sulla propria pelle, hanno dimostrato che nessuno può sentirsi esente né presuntuosamente distante da argomenti di tale importanza umana e politica. Anche l’Italia, nel suo stato di benessere ipocrita ed apparente, Paese di migranti ed immigrati, artefice di un ordine di caste incrementato di giorno in giorno dall’egoismo , afflitto dalle voci di rabbia soffocate che invocano giustizia, dovrebbe(anzi, dovremmo…) investire tutto sulle persone, non sui muri. Diventare più forti noi per primi, per poi poter aiutare chi ne ha bisogno e finalmente poter godere della ricchezza del Paese. Una ricchezza che viene da tutti, nessuna razza/individuo escluso, per la quale ognuno pianterebbe un seme in quella che, infine, potrà essere degna di essere chiamata La Nostra Terra.
Giovanna Ferrigno