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Approfondimenti

“Decalogo 4 – onora il padre e la madre”: alcune riflessioni sul film di Kieslowski

Visioni di Cinema. Rubrica a cura di Stefano Valente

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Decalogo 4

Una ragazza vive sola col padre in un rapporto cameratesco. Scoperta una lettera sigillata che la madre, morta di parto, le aveva lasciato, gliene rinfaccia la rivelazione: Michail non è il suo vero padre, e l’ha sempre saputo. È una finzione: s’è inventata il contenuto della lettera che non ha mai aperto e che, in presenza del padre, dà alle fiamme.

Attraverso questo bel film il regista sembra volere liberare i personaggi di questa enigmatica storia, e noi con loro, da quella che potremmo chiamare “ossessione per la verità”; quella ossessione per la verità che ci spinge a cercarla sempre al di là delle apparenze, dietro a quelle che sono le convenzioni sociali (quelle che, per esempio, regolano il rapporto tra genitori e figli) ed i ruoli ben codificati. Espressione di questa ossessione per la verità è la convinzione che vi sia qualcosa di segreto che debba essere nascosto non solo agli altri ma anche a noi stessi oppure che debba essere svelato costi quel che costi. Comunque qui la verità sembra appunto configurarsi come qualcosa che sta dietro le apparenze; una tale verità percorre ed attraversa le apparenze mettendole in tensione verso qualcosa di inapparente che, anzi, sarebbe nascosto dalle apparenze stesse. Questa volontà di verità, quando raggiunge il suo culmine, esige lo smascheramento di ogni finzione (qui intesa nel senso di menzogna, una menzogna appunto opposta alla verità) avvenga quello che avvenga: cioè vuole l’impossibile e l’irreparabile.

Ora nel film in questione questa ossessione per la verità è letteralmente istituita dalla lettera. L’esistenza di tale lettera (anche al di là del suo contenuto) innesca questa tensione verso la verità come se essa fosse qualcosa di nascosto e di segreto. Ma se la verità è qualcosa che sta dietro, allora l’apparenza non è altro che menzogna, autoinganno, convenzione e come tale va denunciata costi quel che costi; anche se questo significa esporsi pericolosamente all’impossibile (cioè al reale) e all’irreparabile – qualcosa dovrà pur succedere. Se la verità è effettivamente ciò che sta dietro, allora si può reagire ad essa o con un’altrettanto forte volontà di menzogna oppure portando alle estreme conseguenze la volontà di verità. Ma tra verità e menzogna, tra fare come se niente fosse e esporsi all’irreparabile, non c’è veramente alternativa? In questo film vedremo come la esasperata volontà di verità porti addirittura allo smascheramento di questa stessa volontà di verità come menzogna in tal modo aprendo e preparando la via ad un nuovo modo di rapportarsi alla verità. Ciò sarà possibile grazie ad una finzione e all’arte come finzione. Ma dobbiamo intenderci: qui il termine “finzione” non è da intendere in maniera negativa – tutt’altro!

Picasso amava dire che ‘finzione’ non è il contrario di ‘verità’, ma di ‘menzogna’; anzi l’arte è quella menzogna che ci insegna la verità. Innanzitutto la finzione non si contrappone alla verità così come fa la menzogna; ma rende un servizio alla verità e rende un servizio anche a noi liberandoci da quella ossessione per la verità che deforma a tal punto le nostre esistenze rendendo la nostra vita impossibile – la finzione in quanto arte, invece, apre possibilità sempre nuove e sempre diverse. Chi è ossessionato dalla verità è come se vivesse o cercasse di vivere una vita dietro la vita dimenticandosi così di vivere la vita se non altro nella sua quotidianità, quella quotidianità che ci sta sempre sotto gli occhi e che proprio per questo noi non riusciamo a vedere.

Crítica | Decálogo 4

taxidrivers.it Decálogo 4

Ma prima di capire come in questo film la finzione riesca a liberarci dall’ossessione per la verità prendiamo in considerazione la relazione bloccata tra padre e figlia così come è stata istituita dalla (sola esistenza della) lettera. Qui abbiamo a che fare con una struttura che si blocca ed insieme con un blocco che si struttura. Lui ama lei: se lui non è suo padre può amare lei, ma lui ama lei proprio perché è sua figlia. Lei ama lui: se lei non è sua figlia può amarlo, ma lei lo ama proprio perché è suo padre. Questo blocco fa si che il padre non sia né responsabile, né irresponsabile nei confronti della figlia; fa si che la figlia non sia né obbediente, né disobbediente nei confronti del padre. La relazione padre-figlia è bloccata e da questa trappola non si riesce ad uscire.

La lettera viene trovata perché lui vuole che lei la trovi e perché lei vuole trovarla nel disperato tentativo che qualcosa di irreparabile avvenga e venga a sbloccare la situazione ormai ingestibile. Eppure proprio quando sta per compiere il gesto irreparabile passa il terzo, il ragazzo in kajak, testimone muto della scena. Lei non apre la lettera (contenuta a sua volta nella lettera di lui, da aprirsi solo dopo la sua morte e che, invece, viene questa sì aperta) indirizzata a lei dalla madre morta subito dopo averla data alla luce. Invece di aprire la lettera, sostituisce questa senza aprirla con una falsa lettera, scritta di suo pugno, dove sua madre rivelerebbe che la figlia non sarebbe figlia sua e di lui che, dopo la morte della madre di lei, di lei si è preso cura come fosse suo padre – sempre ammesso e non concesso che lui non sia il padre. Questa è la vera svolta del film: attraverso la finzione della verità si arriva a fare esperienza di quanta verità c’è nella finzione. La finta lettera quando viene aperta sembra far precipitare gli eventi in maniera irreversibile: ora non sono più padre e figlia, ma nonostante ciò non sono liberi di amarsi perché come abbiamo visto lui ama lei come figlia e lei ama lui come padre. Abbiamo a che fare con un rovesciamento dell’Edipo: Edipo ama sua madre e solo poi scopre che è sua madre; lei ama suo padre e solo dopo scopre che non è suo padre. Tuttavia questa finta lettera (né menzognera, né veritiera) mette in atto portandolo a coscienza (alla coscienza dei due come a quella dello spettatore che come vedremo è un testimone più che un guardone) questo chiasmo tra lui e lei, tra padre e figlia. Grazie a questa finta lettera v’è una sospensione della verità (come della menzogna): il padre non è più padre e la figlia non è più figlia – sono un uomo davanti ad una donna al di là di ogni legame sociale come al di là di ogni legame naturale. Lui e lei non sono più espressione di ruoli codificati (quello del padre e della figlia), ma sono due esistenze esposte all’amore ed alla sofferenza come ognuno di noi.

Decalogo, 4 (Dekalog, cztery) - 1989, K. Kieslowski

Ora si possono abbracciare liberamente; questo è stato reso possibile dalla finzione della verità. A questo punto, dopo che la finzione ha operato quello che doveva operare, questa si può svelare in quanto finzione. La finzione, rivelandosi come finzione (la finzione, in verità!), libera lui e lei dall’ossessione per la verità a tal punto che entrambi decidono di bruciare la lettera vera. Proprio l’esistenza di questa lettera impediva che si amassero come padre e figlia e molto più impediva loro di amarsi come lui e lei, cioè come due esistenze entrambe esposte al vento turbinoso della vita. La lettera finta al posto della lettera vera: questa sostituzione, questo scambio ha reso finalmente possibile l’incontro tra due persone. Ora il volto dell’altro non viene più scrutato per leggervi cosa sotto sotto nasconde: ora i due volti si possono incontrare. Ora la pulsione inconscia non si frappone più tra i loro sguardi. In fondo l’inconscio non è altro che questa lettera, la prima lettera, la lettera scritta dalla madre di lei. Per guarire le relazioni, per guarire la relazione padre-figlia, allora, non bisogna fare come fa la psicoanalisi meno avvertita, ovvero aprire questa prima lettera (la lettera vera) per in tal modo raggiungere la spiegazione dei fatti come se tra conscio ed inconscio ci fosse una relazione di causa-effetto. No! Le relazioni guariscono quando l’inconscio torna inconscio (in metafora: quando lui e lei decidono di bruciare la lettera vera). Perché ciò avvenga è necessaria la finzione (la finzione anche di ruoli: qui quello di padre e quello di figlia). In questo senso bisogna prendere sul serio la finzione (la lettera finta) come lo psicoanalista più avvertito fa con le finzioni del paziente, ben sapendo che per guarire non serve a niente cercare di aprire la prima lettera per leggerne il contenuto al paziente stesso («la guarigione non avviene quando si comunica al paziente la causa dei suoi sintomi; è solo – dice Freud – il procedimento indiretto della psicoanalisi che …»). Tutto sta davvero nel sostituire a questa lettera vera ma segreta una lettera finta ma (forse proprio per questo) leggibile. Una lettera quest’ultima da conservare fino a quando è utile, fino a quando ha svolto il suo compito ed, allora, non ci sarà più bisogno di consultare né la lettera finta, né la lettera vera. La verità non sta nel cercare la verità dietro la menzogna, ma nel fingere la verità sapendo di fingere. Allora la verità sarà solo un effetto della finzione. Allora la finzione ci insegnerà la verità – ma una verità che non si presuppone più che stia dietro all’apparenza.

DECALOGO 4 | L'Eco del Nulla | Rivista di cultura e visioni

La lettera finta viene lasciata da parte, la lettera vera viene bruciata: resta solo un suo frammento quasi illeggibile (cosa di più illeggibile dell’inconscio?) che comunque non è in grado di decidere nulla. Su questa indecisione ed indeterminazione si chiude il film aprendo così lo spazio ad una decisione che sia libera. Liberi di non porci più la domanda (sospettosa ed inquisitoria): chi è mio padre? Chi è mia figlia? Infatti il padre è tale non in sé, ma solo in relazione alla figlia e la figlia è tale non in sé ma solo in relazione al padre. La verità della relazione è la relazione medesima. Per questo tale verità può essere solo implicita alla relazione stessa e non può trovarsi al di là della relazione medesima. In questo senso la lettera va accesa e bruciata dallo Spirito altrimenti è capace di uccidere (Cfr. 2 Corinzi 3,6). Solo se l’inconscio torna inconscio (ovvero implicito – qual è e non può non essere) io posso incontrare liberamente l’altro. Per farlo è stato necessario mettere l’io al posto dell’es («dove era es deve subentrare io» – dice Freud); però questo subentrare non sarà mai reale, ma solo finto. Bisogna mettere in scena l’inconscio perché questa scena passi. Visto che l’inconscio è inaccessibile in maniera diretta alla coscienza, allora bisogna accedervi mediante la costruzione di finzioni che una volta adempiuto il loro compito possano essere messe da parte.

Decalogo, 4 (Dekalog, cztery) - 1989, K. Kieslowski

Ma perché la finzione funzioni bisogna abbandonarsi ad essa e ciò significa: smettere di interrogarsi su cosa sia scritto nella lettera. La verità, se intesa come qualcosa che sta dietro, impedirà alla finzione di funzionare come finzione – perché ciò avvenga bisogna almeno sospendere la verità e dismettere almeno per un poco la nostra insaziabile volontà di verità. Ciò vale anche quando la finzione si limita a mettere in scena (ricordiamo che lei è una attrice) la supposta verità. Questa messa in scena è anche la relazione psicoanalitica. Bruciare la lettera vera non significa un indietreggiare dei due dopo essersi esposti pericolosamente alle loro pulsioni più inconfessabili, ma significa averle affrontate ed addomesticate.

Qui non si sta facendo né della psicologia o psicoanalisi dell’arte, né si sta esercitando l’arte della psicoanalisi. Qui si vuole evidenziare come l’arte (ovvero la finzione) possa contribuire a sbloccare una relazione irrigiditasi nella contrapposizione tra verità e menzogna e dove la verità sia concepita come qualcosa che sta dietro. Ciò in altri termini vuol dire che la verità si dà nelle apparenze e non dietro di queste: essa non è qualcosa da decifrare, ma qualcosa che si mostra. L’arte è quella menzogna che ci insegna la verità.

Stefano Valente

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