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Taxidrivers Magazine

“Miss Violence” di Aleksandros Avranas

L’ideologia al servizio della deformazione antropologica. Rubrica a cura di Beatrice Bianchini

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Interno famiglia.
Festa di compleanno: Angeliki compie 11 anni, spegne le candele, balla con il padre/nonno, si fa una foto.
Scavalca  il balcone e si butta.
Indagini, domande senza risposte, risposte senza risposta…
Si intuisce subito che c’e’ molto che non va.
Da una  disciplina ferrea  si arriverà all’orrore puro, geometrico, glaciale.
Perché’ la famiglia si ostina a rimuovere l’accaduto e a tornare ad una vita “normale?”

Attraverso un gioco sadico di privazioni e concessioni, come ci si adopera con topi di laboratorio, si riesce a tenere sotto controllo una dimensione familiare irrimediabilmente  sfigurata.
Una manipolazione, un efferato plagio, smaschera un sistema tra chi ha il potere e chi si lascia sottomettere.
Chi è Miss Violence?  La circonvenzione di minore, l’abuso fisico, il silenzio? La violenza è nella produzione e nell’accettazione della irreversibilità di una condizione, è nell’omertà. E’ nell’incapacità di vedere, nella passività dell’agire, nel rifiuto di capire.
Angeliki sembra una rivoluzionaria e agisce attraverso l’unica possibilità che le è concessa: sceglie.

miss-violence

Sceglie il suicidio, una scelta che inchioda nel meccanismo ferreo e circolare della funzionarietà della specie, omologata, incapace di uscire fuori dal sistema della Volontà divorante che concede solo un barlume di libertà intrisa della Rappresentazione del sangue incolore; un suicidio che non è possibilità di essere ma solo di non essere, che non è possibilità di uscire ma di stare, che non è dire ma tacere,  che non è liberazione ma conferma della realtà e del suo potere violento.

Un’azienda familiare, con un amministratore delegato perverso e paranoico come un padrone capitalista sadico e disumano da far rabbrividire qualunque dinamica servo-padrone anche dell’hegeliano più ottimista, conservatore e mistico.

Non c’è disuguaglianza sociale in questa azienda famiglia, le donne sono tutte merce di scambio sessuale e per questo fonte di denaro; un modo naturale, immutabile e “razionale” di produrre  il profitto considerando le figlie/nipoti proprietà privata, un postulato alla base della organizzazione produttiva. Una vera e propria condizione patologica di scissione, di dipendenza, di autoestraniazione non relegata solo all’ambito coscienziale ma considerata un fatto reale di natura socio-economica.

Ultra-alienante questa condizione ai limiti del più radicale sistema capitalistico;  non è prevista alcune distribuzione del reddito se non attraverso il riempire e lo svuotare il frigorifero, emblema di una condizione salariale strettamente legata al sostentamento del corpo e delle più essenziali necessità.

Una esemplare espropriazione della coscienza dettata dalla forza di una violenza materiale e socio-economica, “non essendo la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza”.

Miss Violence

Il soggetto qui è la VIOLENZA, senza coscienza, senza bene e senza male, una separazione sociale dal processo sociale, nel quale l’individuo è un semplice riflesso dei rapporti di proprietà. Non solo l’io è stretttamente intrecciato al sistema che lo avalla, ma gli deve la propria esistenza nel senso letterale della parola. Gli amici-clienti, consolidano la legittimità pedofilo/stuprante del papà-nonno, sono ansiosi di provare nuova merce che diventa anche scambio attraverso una danza, una cerimonia funebre degli apostoli del denaro: il rituale macabro del feticismo della merce umana.

Avranas ripercorre i temi trattati dal Lanthimos di Dogthoot,  ma qui occorre concedersi un ampio spazio di silenzio alla fine del film. Un’esperienza che obbliga ad una attenta riflessione, il pericolo sarebbe di ricadere nel non detto e nel non visto denunciato aspramente nella pellicola.
Perché il cinema come questo è insieme alla nostra vita reale ciò che scegliamo di vedere o di essere o diventare.
Indelebile.

Beatrice Bianchini

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