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In Sala

Noah

Se da una parte la pellicola è in grado di regalare momenti cinematografici profondi soprattutto in virtù del rapporto tra Noè e sua moglie che ha il volto di un’eccellente Jennifer Connely, dall’altra il film perde di spessore paradossalmente proprio per colpa di un montaggio frettoloso e dell’eccessivo uso della computer graphica

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Anno: 2014

Distribuzione:  Universal Pictures

Durata:  

Genere: Avventura, Drammatico

Nazionalità: USA

Regia: Darren Aronofsky

Data di uscita: 10 Aprile 2014

La storia di Noè e della sua arca è la parte della Genesi del Vecchio Testamento che più facilmente viene interpretata, a secondo dei credo, dei non credo e della sensibilità religiosa delle persone in due diversi modi: c’è chi vede la vicenda come un puro racconto di fantasia e mitologia e chi invece la prende per quella che il Vecchio Testamento vuole che sia, ovvero un insegnamento metaforico che porta a evitare alcuni, umani, errori affinché una punizione divina di catastrofiche dimensione non si abbatta sulla terra.

È palese che in Noah Darren Aronofsky abbia scelto la prima visione delle cose e in base alla sua atea trasposizione cinematografica delle vicende di Noè ha usato il genere più consono a ricostruire gli avvenimenti di biblica memoria: il fantasy.

La matrice atea del lungometraggio a suo modo tenta di non infastidire gli occhi di chi crede in vari modi: prima di tutto, come il secondo comandamento ordina, il nome di Dio – invano – non viene mai pronunciato se non con il sinonimo il Creatore, secondo poi la divinità non appare mai. Certo, la sua presenza è percettibile dalla furia che scaglia sugli uomini rei peccatori e dagli Angeli Caduti che vengono mandati sulla terra come simbolo di compassione, ma Aronofsky nella sua opera non ha la presunzione di dare un volto, o una luce, a Dio.

Il centro del lungometraggio, come il titolo suggerisce, è un Noah uomo, interpretato da un convincente Russel Crowe, che in tutta la sua umanità è dipinto come un folle tanto da arrivare a credere di esserlo. Noah, nel film che da lui prende il nome, è il simbolo dell’Uomo tanto dedito da sacrificare la sua stessa famiglia in nome del suo Credo.

Se da una parte la pellicola è in grado di regalare momenti cinematografici profondi soprattutto in virtù del rapporto tra Noè e sua moglie che ha il volto di un’eccellente Jennifer Connely, dall’altra il film perde di spessore paradossalmente proprio per colpa di un montaggio frettoloso e dell’eccessivo uso della computer graphica a causa della quale gli Angeli Caduti divengono inquietanti mostri di roccia.

La buona idea di base e la bella rilettura del personaggio di Noah che Aronofsky offre al suo pubblico scadono così in un calderone di azioni e reazioni in cui a un certo punto la storia, e soprattutto il suo protagonista, perde di importanza e al centro della scena viene posta una spettacolarizzazione non funzionale che punta palesemente a un voler strafare rovinando la biblica atmosfera e l’intero lavoro. Ma d’altronde non bisogna dimenticare che la gestazione dell’opera, infondo, è pur sempre avvenuta nel ventre di Mamma Hollywood. E Mamma Hollywood pecca molto spesso di presunzione.

Sandra Martone

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