Anno: 2013
Durata: 56′
Genere: Documentario/Drammatico
Nazionalità: Francia/Taiwan
Regia: Tsai Ming Liang
Un passo a cui l’occhio non è ancora pronto, una strada che Tsai Ming Liang, tra i pochi cineasti capaci di rappresentare la contemporaneità, e probabilmente il solo veggente sul futuro dello sguardo, sulle nuove prospettive possibili, sui nuovi confini della rappresentazione cinematografica è in grado di compiere ed imporre contro tutto e tutti. Non contro i suoi estimatori francesi, che letteralmente lo coccolano, comprendendo l’indispensabilità – necessità per la sopravvivenza del cinema stesso, di uno sguardo come il suo.
Arriva a Berlino Xi You, tappa marsigliese delle lente spedizioni del suo doppio sullo schermo da sempre, l’eroico Lee Kang-sheng trasformatosi in asceta, riuscendo a performare l’imperformabile dentro il tempo filmico. Il suo lentissimo penetrare la realtà di luoghi umani, fisici, con un passo nella sua estrema, folle lentezza, che si carica addosso (insieme all’inconfondibile, accecante, mantella-tunica rossa che lo copre) tutta la cieca corsa, il cieco vivere del’uomo moderno, impone a chi sta dall’altra parte dello schermo una violenza indubbia. E devo dire che i Tedeschi che hanno affollato la splendida-avveneristica-saturnea Sala 2 dello Zoo Palast, mi hanno sorpresa. Abituata a contare le rese di molti spettatori delle performance visive di Ming Liang (e in generale del suo cinema) anche dopo i primi 5 minuti, i Teutoni hanno resistito quasi tutti fino alla fine. Se per il momento ai più è soltanto la fatica di tenuta di attenzione, di percezione, ad essere avvertita, il frenare un automatico raptus accelerativo–attivo, l’allenamento è indispensabile, perché capace di aprire porte percettive sulla fruizione cinematografica, inimmaginabili. Il monaco rosso si frappone agli ingressi della metropolitana, ai caffè, alla strada battuta da piedi ed automobili, tirando letteralmente il freno a mano a ciò che lo circonda e penetra. A volte non lo individuiamo subito, nelle sempre illuminanti prospettive – inquadrature da cui Ming Liang decide di fissare il pezzo di realtà da attraversare – e specialmente due trasfigurano lo sguardo- : la discesa dalle scalette che conducono all’ingresso della metro, in un controluce che irradia e proietta il passo dell’asceta sull’esistere dei passeggeri che salgono e scendono. La piazza capovolta, riflessa a testa in giù nel pavimento vitreo insieme allo stare dei suoi frequentatori (uomini, donne, bambini). Una volta trovato il punto rosso, ne sentiamo il bisogno, quasi venissimo destabilizzati nel non identificare subito la nostra bussola mediatrice di uno svelamento tra chi siamo e cosa possiamo guardare di noi stessi dal di fuori. Lo spazio umano e fisico del nuovo passo del cinema si rivela allo stesso pubblico che rappresenta ed ingloba, lasciandolo interagire, ben sapendo che la macchina da presa è sempre là, quasi ad intimidire-proteggere quel punto rosso che provoca, diverte, offende, lascia indifferente il cammino dell’uomo moderno.
Maria Cera