Connect with us

Future Film Festival

Intervista a Christine Freeman, Dietro le quinte della Pixar

In occasione della 25 edizione del 24Frame Future Film Fest, abbiamo avuto l'onore di intervistare Christine Freeman, storica senior di Pixar Animation Studios. Durante l'incontro, abbiamo parlato di memoria, dei processi creativi che hanno reso grande Toy Story e i segreti di un'azienda che ha fatto dell'inclusione il motore della sua unicità

Pubblicato

il

Per l’anniversario dei trent’anni di Toy Story, il 24 Frame Future Film festival ha ospitato Christine Freeman, storica senior di Pixar Animation Studios.
Durante un’appassionante masterclass, la Freeman ha raccontato aneddoti e retroscena sul primo lungometraggio in CGI della storia del cinema: Toy Story.
L’abbiamo intervistata per conoscere altre curiosità sulla Pixar, e sull’ approccio unico al processo creativo.

L’importanza della memoria: Christine Freeman racconta la Pixar che non si vede

In un mondo che guarda sempre avanti, cosa significa prendersi cura della memoria di uno studio come la Pixar? E di cosa hai bisogno per farlo al meglio?

Faccio un lavoro che amo. Lavoro con un team straordinario negli archivi della Pixar, un gruppo di persone incredibilmente competenti e appassionate, con cui condivido ogni giorno il privilegio di custodire la storia di questa bellissima azienda. Il mio ruolo consiste principalmente nel rispondere alle domande della produzione quando ha bisogno di riferimenti storici o vuole approfondire aspetti del nostro passato creativo. È un lavoro che adoro profondamente, non solo per ciò che faccio, ma soprattutto per le persone che mi circondano: grandi professionisti.

Una parte fondamentale di ciò di cui mi occupo riguarda lo sviluppo di raccolte storiche che potranno diventare, in futuro, risorse preziose per chi vorrà studiare o raccontare la Pixar. Ma al di là della conservazione materiale, credo che il vero futuro di questa azienda sia nelle mani delle nuove generazioni.
La memoria non ha senso se non condivisa, e in questo la divulgazione gioca un ruolo cruciale. È forse uno degli atti più nobili: tramandare ciò che è stato, per ispirare ciò che sarà.

Per questo, i veri custodi della memoria, oggi, non siamo solo noi archivisti, che ormai siamo parte del passato. Ma siete soprattutto voi: i giovani.
Con la vostra curiosità, la vostra voglia di capire, il vostro sguardo nuovo. Voi potete prendere ciò che abbiamo costruito, farlo vostro, reinterpretarlo e tramandarlo. Siete voi a rappresentare il futuro!

In fondo, ogni storia raccontata e condivisa continua ad esistere. Allora, se continuiamo a creare contenuti capaci di emozionare, di ispirare e di rimanere impressi, forse vivranno davvero per sempre.

Toy Story: il processo creativo alla base dei personaggi iconici

In occasione dell’anniversario dei 30 anni di Toy Story che ti vede oggi protagonista al 24 Frame Future Film festival  di una Masterclass a tema, vorrei esprimerti una curiosità.
C’è stato qualche concept o materiale originale che ti ha colpito particolarmente?  Qualcosa che è stato scartato, ma ha una storia interessante da raccontare?

Nella creazione di qualsiasi film d’animazione, moltissimi concept vengono rivisitati, trasformati o addirittura rivoluzionati nel corso della produzione. È un processo creativo in continua evoluzione, dove le idee iniziali spesso si scontrano con la realtà visiva, narrativa o emotiva del film.

Un esempio significativo che mi viene in mente in Toy Story è proprio il concept originale del personaggio di Woody. All’inizio, Lasseter lo aveva immaginato come un classico pupazzo da ventriloquo, ispirandosi a un giocattolo della sua infanzia. Ma una volta realizzato il primo modello, ci siamo resi conto immediatamente che non funzionava. Aveva un’aspetto inquietante, che generava un senso di disagio e paura. Questo non avrebbe mai permesso al pubblico (in particolare ai bambini) di empatizzare con lui. Così l’idea venne abbandonata, e si lavorò a un design completamente nuovo, più caldo, rassicurante e adatto al ruolo da protagonista che il personaggio doveva avere.

Un altro caso interessante è quello di Buzz Lightyear, che ha attraversato moltissime fasi di sviluppo. In una delle prime versioni, aveva addirittura un ciuffo di capelli in stile Elvis Presley! L’idea era originale, ma si scontrava con la sua identità di astronauta: quel dettaglio rendeva il personaggio meno credibile e soprattutto poco funzionale all’interno della narrazione.

Alla fine si decise di modificarne completamente l’aspetto: vennero eliminati i capelli, ridisegnata la testa e coperte le orecchie per renderlo più aerodinamico. Così risultava più coerente con l’idea di un eroe spaziale e, allo stesso tempo, si semplificava il lavoro di animazione nella fase di realizzazione.
Toy story è stato, forse, il lungometraggio con alle spalle il processo creativo più travagliato. Ma l’elaborazione artistica, funziona proprio così: è dinamica, fatta di tentativi, errori, revisioni e intuizioni geniali. É un processo lungo, proprio perché ogni dettaglio (anche il più piccolo) contribuisce alla riuscita di un personaggio iconico.

Toy Story: Intuizioni vincenti ed “errori” nella società della perfezione

Viviamo in una società che tende a nascondere l’errore e a temere lo sbaglio. Eppure, come hai evidenziato, sono proprio questi a nascondere un’opportunità per esplorare nuove possibilità di realizzazione o d’ideazione.
In Toy Story ad esempio, ci sono degli “errori” che si sono rivelati invece delle intuizioni vincenti e hanno reso grande il film?

Certo! In realtà, nel nostro lavoro nulla si butta via: tutto serve. Non parlerei neanche di “errori”, perché ogni idea, anche quelle che inizialmente sembrano non funzionare, finiscono quasi sempre per diventare materiale di recupero o fonte di ispirazione per progetti futuri. È proprio questo uno degli aspetti più affascinanti del percorso ideativo: la capacità di far rivivere intuizioni del passato in nuove forme, al momento giusto.

Un esempio perfetto è il personaggio di Lotso, l’orso rosa burbero e apparentemente tenero che incontriamo per la prima volta in Toy Story 3. In realtà, Lotso è molto più “anziano” di quanto sembri: la sua prima apparizione concettuale risale addirittura alle primissime bozze del Toy Story originale, quando la Pixar stava ancora lavorando al cortometraggio Tin Toy, diretto da John Lasseter nel 1988. Un corto fondamentale che ha messo le basi narrative per quello che poi sarebbe diventato il Toy Story del futuro. É stato il primo cortometraggio animato Pixar in computer grafica a vincere un Oscar, e ha rappresentato un’enorme innovazione tecnologica mostrando per la prima volta un personaggio umano (un bambino volutamente mostruoso) interamente animato in digitale.

In quel contesto, Lotso era stato pensato come un peluche difettoso, scartato da un bambino. Ma allora non era tecnicamente possibile realizzare una pelliccia credibile in CGI: i mezzi erano ancora troppo limitati, e un orsacchiotto non sarebbe mai potuto sembrare realistico né convincente. Così il personaggio venne accantonato.

Anni dopo, grazie ai progressi tecnologici raggiunti con film come Monsters & Co. (2001) e alla straordinaria resa del personaggio di Sulley, con il suo manto ricco di dettagli e movimento, è stato finalmente possibile recuperare l’idea originale di Lotso e darle forma in modo efficace.
È così che quel vecchio concept ha trovato nuova vita in Toy Story 3, diventando uno dei personaggi più celebri e sfaccettati della saga.

Dialoghi che fanno crescere: Il valore dello scambio e il confronto creativo in Pixar

Il brain-trust è conosciuto come uno dei motori di successo della Pixar. Si tratta di riunioni che sono proposte per discutere i progetti in sviluppo, e visionare il materiale tutti insieme. Sei a conoscenza di momenti in cui ha davvero trasformato un film?

Sì, il Braintrust è uno dei momenti più rappresentativi e significativi del metodo Pixar. Quello che forse non tutti sanno è che è nato in origine per un’esigenza molto diversa da quella attuale: all’inizio, infatti, la Pixar si occupava principalmente di pubblicità e il Braintrust era il momento in cui ci si riuniva per visionare e discutere insieme questi spot. Con il tempo, però, quel formato di lavoro condiviso è diventato così efficace da essere adattato e trasformato in un vero e proprio strumento creativo per lo sviluppo dei film. È diventato un pilastro del processo narrativo.

Anche se opero “dietro le quinte”, posso confermare quanto questo rifletta perfettamente lo spirito di collaborazione che anima l’azienda, dimostrando quanto il confronto tra punti di vista diversi sia non solo benvenuto, ma fondamentale. È uno spazio in cui ogni membro del team ha la possibilità di esprimere la propria visione, portare nuove idee o sollevare dubbi su aspetti della storia o della struttura di un film. E quello che rende davvero speciale questo processo è che ogni opinione è ascoltata con attenzione, perché ogni punto di vista è considerato unico e prezioso.

Lo scambio creativo è alla base di una buona ideazione. Durante un incontro di Braintrust non si cerca di stravolgere un progetto, ma piuttosto di individuare i punti deboli, rafforzare ciò che funziona e suggerire modifiche che possano migliorare la fluidità e la coerenza narrativa. Di solito si segue una semplice ma efficace regola: se tre o più persone evidenziano lo stesso problema o fanno osservazioni simili su una scena, un personaggio o una scelta stilistica, allora mettiamo quella parte in discussione. Non per eliminarla, ma per capire come migliorarla.

È un processo delicato, perché bisogna sempre mantenere un equilibrio tra l’oggettività e la visione personale del regista o del team creativo. Non impone soluzioni, ma apre spazi di riflessione. È uno strumento potente proprio perché parte dal rispetto reciproco, dalla volontà di collaborare e dal desiderio comune di raccontare storie sempre più autentiche, coinvolgenti e ben costruite.

L’Identità Pixar e i momenti significativi che hanno fatto la storia della grande azienda

Arriviamo all’ultima domanda, un po’ più personale e significativa. Se potessi scegliere tre momenti della storia che meglio caratterizzano l’animo della Pixar, quali sceglieresti e perché?

Bella domanda, ci devo riflettere..

Ci sono stati davvero tanti momenti significativi, alcuni che ho vissuto in prima persona e altri che, purtroppo, ho solo potuto conoscere attraverso i racconti o i materiali d’archivio.

Il primo momento che mi viene in mente, e che avrei davvero voluto vivere, risale a prima del mio arrivo in azienda: la fase iniziale della Pixar, quando tutto stava cominciando. Era un periodo straordinario, in cui si respirava un’aria di pura creatività, energia e innovazione. In particolare, mi sarebbe piaciuto essere presente nei primissimi anni. Quando, con i primi cortometraggi si iniziavano a sperimentare tecniche nuove e a sviluppare programmi su misura per dare vita a personaggi sempre più complessi e credibili.

Vedere da vicino quel team pionieristico che stava letteralmente inventando un nuovo linguaggio visivo e narrativo dev’essere stato qualcosa di irripetibile. È lì che è nata la Pixar come la conosciamo oggi.

É una casa di produzione unica nel suo genere, costruita sull’innovazione continua e sulla capacità di reinventarsi.

Poi, come in ogni storia, ci sono anche i momenti difficili. Uno dei più duri, per me e per tanti colleghi, è stato sicuramente quando abbiamo saputo della vendita della Pixar alla Disney. In quel periodo ero lontana dall’azienda, e al mio ritorno appresi la notizia. Fu vissuta da molti come una vera e propria pugnalata: una grande delusione, accompagnata dalla paura che quella fusione potesse compromettere la nostra identità creativa. Eppure, nonostante tutto, la Pixar ha saputo rimanere fedele a se stessa. Ha protetto con determinazione la propria cultura interna, i suoi valori e il suo modo di lavorare, mantenendoli ben distinti da quelli della Disney. È stata una prova difficile, ma ha rafforzato il nostro senso di appartenenza.

Infine, uno dei momenti più emozionanti e significativi per me. Il più importante a livello personale, è stato quello in cui, dopo qualche tempo che ero entrata in azienda, John Lasseter mi disse: “Un giorno il nostro materiale verrà esposto al MoMA di New York.”

All’epoca mi sembrava un sogno quasi impossibile da realizzare, e onestamente non lo ascoltai.

E invece, solo un anno dopo, con mia grande gioia, parte del nostro archivio venne richiesto ed esposto al Museum of Modern Art, e poi in tante altre mostre internazionali.

È stata una delle più grandi soddisfazioni della mia carriera. Ricordo ancora l’emozione di quel momento: ci ritrovammo a viaggiare con un intero aereo carico di rappresentanti Pixar e professionisti straordinari, persone che avevano dato anima e corpo all’azienda e meritavano di essere conosciuti.

Ad un certo punto, la paura che quell’aereo potesse cadere era reale – scherzavamo sul fatto che stavamo portando via tutti insieme “troppo talento”, ma sotto sotto c’era davvero un po’ di tensione. Ma soprattutto c’era la voglia immensa di farsi conoscere, di mostrare al mondo le nostre opere, il nostro lavoro, la nostra storia. È stata un’emozione grandissima, che porto ancora con me.

Da lì in poi non ci siamo più fermati, e tutto questo è diventato sempre più una necessità e una missione.

Dietro le quinte della Pixar: Intervista a Christine Freeman