Cosa narra La fossa delle Marianne? Un tema, quello della difficile elaborazione del lutto per la morte di un familiare, già trattato tante volte al cinema.
Solo per citare alcuni film, basti pensare a Alabama Monroe – Una storia d’amore, The door in the floor, Gente comune, In the bedroom, Rabbit hole, Lantana o ai nostrani Europa 51 e La stanza del figlio.
Qual è allora la grandezza del film di Eileen Byrne? Quella di aver impaginato un road movie accattivante e originale mescolando, con garbo e sensibilità, un’originale e accattivante tragicommedia.
Protagonista, Paula (Luna Wedler), che si strugge per i sensi di colpa a causa della morte di Tim (William Vonnemann), il fratellino di nove anni.
Paula è biologa marina, studiosa delle Fosse delle Marianne. Un giorno, da ubriaca, non si è presa cura del piccolo Tim, che è poi annegato.
Da allora, Paula, abbandonati gli studi, è sommersa da incubi notturni, durante i quali cerca, invano, di risalire dagli abissi del mare, immersi nell’oscurità.
Mentre Paula è al cimitero sulla tomba del fratello, s’imbatte in Helmut (Edgar Selge), un tipo strampalato, che le chiede di dargli una mano a trafugare l’urna della moglie che vuole portare in Alto Adige.
I sorveglianti del cimitero li scoprono, ma i due riescono, in maniera rocambolesca, a fuggire e a rifugiarsi nel camper di Helmut.
Paula, che ha in mente di raggiungere Trieste, luogo dove è annegato Tim, senza pensarci due volte, lo segue. A fare loro compagnia, Judy, il mansueto cane di Helmut.
Un road-movie poetico e commovente
É l’inizio di un viaggio avventuroso, ricco di colpi di scena, durante il quale i protagonisti, dapprima diffidenti e distanti emotivamente, riescono man mano ad aprire il loro cuore.
Anche Helmut, affetto da una neoplasia al polmone, è, infatti, spezzato dentro, perché il figlio Cristoph, undicenne, era annegato cinquant’anni prima. Da quel giorno, lui non si dà pace e si colpevolizza per non aver insegnato al figlio a nuotare.
Scoprono poi che entrambi, hanno tentato il suicidio e, nel corso del viaggio, dopo alcune incomprensioni, danno vita ad un confronto-scontro, senza esclusioni di colpi.
Dopo la morte di Tim, infatti, Paula sente che non vale più la pena di vivere; Helmut invece, dopo decenni, è riuscito a mettersi alle spalle il dolore e a trovare un pizzico di pace.
Una riflessione sull’elaborazione del lutto profonda e non convenzionale
Byrne, anche sceneggiatrice, non punta al melodramma; anzi, sa condire la narrazione con momenti ironici ed esilaranti che danno leggerezza e il giusto respiro alla vicenda.
In questo percorso di formazione e di rinascita, Paula trova, sul finale, la forza per guardare con più ottimismo al futuro.
Un film che è un inno all’amicizia e che sottolinea come sia importante che, compiuti degli errori, ciascuno sappia perdonare se stesso.
Fanno da sfondo alla vicenda i maestosi paesaggi naturali. In stato di grazia la giovane Wedler e un impeccabile Selge, che reggono tutto il film.
Il titolo rimanda simbolicamente alla profondità e all’oscurità del dolore che attanaglia Paula.
Basato sull’omonimo romanzo bestseller di Jasmin Schreiber, presentato al Bolzano Film Festival, è nelle sale italiane dal 24 aprile, distribuito da Trent Film.
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