Noise, debutto al lungometraggio di Kim Soo-jin, è il thriller dalle sfumature più orrorifiche della sezione K-Cinema Today di questa edizione del Korean Film Fest. Un tentativo, più o meno riuscito, che arricchisce l’ormai consolidato filone k-horror che negli ultimi anni brilla di una particolare vivacità. L’idea di partenza è interessante, ma è lo sviluppo che non convince, rivelando, con il passare dei minuti, alcune debolezze. Kim Soo-jin, nonostante dia prova di un’invidiabile formazione di genere, rischia di sfociare a tratti in un citazionismo sterilizzante. È questo l’aspetto che non convince del tutto di Noise. Un film che poteva essere di più e invece finisce per non sfruttare a pieno le proprie potenzialità.
La trama del film
Ju-young (Lee Sun-bin), una ragazza con problemi di udito, vuole indagare sulla scomparsa della sorella minore Ju-hee (Jun Ik-ryoung). Decide quindi di tornare nel complesso residenziale dove la sorella viveva, per far luce su quanto possibilmente accaduto. Fin da subito qualcosa non torna. I condomini sono spazientiti dalle sue domande e dalle sue ricerche, alcuni residenti sembrano impazziti e tra i corridoi e i piani del palazzo aleggiano rumori inquietanti dalle origini inspiegabili. Ju-young non intende darsi per vinta e presto scoprirà cosa si nasconde realmente dietro quanto accaduto.

Una premessa interessante
Noise. Il titolo è diretto. Conciso. Una sola parola che non ammette alcun fraintendimento sul leitmotiv del film. La protagonista soffre di una parziale sordità a seguito di un incidente, voci indistinte risuonano nei telefoni e ai citofoni, fragorosi passi disturbano la quiete dei condomini e fischi ad alte frequenze mettono a dura prova le orecchie dei vari personaggi. Sono tutti dettagli che rimandano inequivocabilmente a un solo e unico elemento: il rumore.
Ed ecco che il mantra etico sulla stratificazione della percezione dei sensi è dietro l’angolo. Se in superficie il “guardare” equivale al “sentire”, più in profondità il “saper vedere” corrisponde al “saper ascoltare”. Attorno a esso Kim Soo-jin struttura lo stesso paradosso che, travolgendo Ju-young, si farà causa dell’inevitabile: il pericolo si cela nel voler ascoltare, ma, per comprendere, ascoltare è indubbiamente necessario. Così, in un primo momento, l’inspiegabile origine delle disturbanti interferenze sonore alimenta la curiosità spettatoriale verso la natura della fonte ignota. Un’attrazione che, purtroppo, con il passare dei minuti perde consistenza, lasciando spazio ad alcune problematiche.
Un horror di atmosfera mancato
Quello che ci si aspetterebbe da un film horror che vuole fare leva sui sensi, per giocare con la percezione, è la creazione, tassello dopo tassello, di un’atmosfera criptica e avvolgente. Noise, invece, perde pezzi per strada. Il focus narrativo perde chiarezza, mentre personaggi e questioni si ingarbugliano senza una visione d’insieme soddisfacente. Quello che poteva essere un erede di un microcosmo “polanskiano”, si pensi a Rosemary’s Baby (1968) o a L’inquilino del terzo piano (1976), ma ambientato in una tipica spazialità sudcoreana, il condominio con le lunghe terrazze su cui si affacciano le porte di ingresso degli appartamenti, reso punto di forza per esempio in Alive (2020) di Cho Il-hyeong, finisce per apparire come un mal pensato tentativo di scopiazzatura.
Ogni valido presupposto si sgretola al sommarsi di alcuni cliché, che anche in sala alimentano sarcastiche risate. L’irresistibile jumpscare deve per forza esserci. La tipica divisione a un bivio dei protagonisti non può mancare. E la caratterizzazione dei personaggi rende troppo prevedibile il suo essere ingannevole. È il sommarsi di questo male utilizzo di strumenti del genere horror che finisce per annullare ogni stupore. Se poi si condiscono alcune scene con un’estetica visiva da k-drama anche la speranza più recondita, e ormai flebile, non può che esalare il fatidico ultimo respiro.

Un’ulteriore punto di vista
Rimane l’interesse nel rispondere a un quesito. Perché fare leva così ossessivamente sul rumore? Il genere horror è sempre stato un veicolo sicuro su cui far salire a bordo le proprie perplessità verso il mondo. In Noise Kim Soo-jin non alza alcuno stendardo caustico o sedizioso in termini politici. Tuttavia, il film potrebbe celare un lato ecologico. Seoul è una delle città del nostro Pianeta con l’inquinamento acustico più alto. Un problema che non va sottovalutato.
Non è un caso che la scena di apertura si svolga in una fabbrica e che venga inquadrato il contatore dei decibel prodotti all’interno della struttura. Una paura personale può diventare, con il mezzo cinematografico, una paura collettiva. Passare improvvisamente dai muri industriali a quelli domestici chiama in causa chiunque. Forse Kim Soo-jin vuole dirci che la caoticità e la chiassosità della nostra società stanno penetrando anche nei luoghi più intimi, come le nostre case. Un monito da tenere in considerazione: dove non vi è più silenzio prima o poi non può che fiorire la pazzia.