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FESTIVAL DI CINEMA

Al Biografilm Festival è di scena il punto di vista del male: da “El Sicario Room 164” di Gianfranco Rosi a “The Act Of Killing” di Joshua Oppenheimer, passando per “The Unknown Known” di Errol Morris

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La serata di venerdì sera al Biografilm Festival, che si tiene in questi giorni fino al 30 settembre all’Ambra alla Garbatella, propone il lungometraggio del maestro del cinema documentario americano Errol Morris, (reduce dalla 70° Mostra del Cinema di Venezia) in cui Donald Rumsfeld, personaggio di spicco della politica americana (repubblicana) dalla presidenza Nixon alla seconda amministrazione Bush-figlio, si racconta attraverso otto incontri avuti con lo stesso regista. Morris è partito da un contratto piuttosto voluminoso: Andrea Romeo, direttore artistico del Biografilm Festival, ci spiega che Morris ha stipulato un contratto con Donald Rumsfeld, che consentisse al regista di raccontare la politica estera americana, attraverso il punto di vista di chi l’ha fatta, e all’ex Segretario di Stato di costruirsi un’immagine memorabile, da rendere alla storia.

“Ci sono i fatti noti, ciò che sappiamo di sapere, e sappiamo che ci sono fatti noti ignoti, ciò che sappiamo di non sapere. Ma anche gli ignoti fatti ignoti, quelli che non sappiamo di non sapere”: su questo ritornello, ripetuto più volte da Rumsfeld nel corso del film, ruotano i suoi racconti circa i fatti che hanno caratterizzato la politica estera statunitense, in particolare la questione legata a Saddam Hussein e all’Iraq. “Perché questa ossessione con l’Iraq e con Saddam?” chiede Morris; Rumsfeld, facendo sfoggio del suo personale vocabolario, smentisce qualsiasi ossessione e afferma che si tratta di un “approccio misurato e complesso”.

Saddam Hussein era un “brutale dittatore” e gli piaceva farsi idolatrare attraverso foto e immagini; questo lo avevamo capito: di certo raccontato da Donald Rumsfeld tutto ciò appare quasi comico (soltanto per un momento); specialmente se proprio Rumsfeld, abile manipolatore politico e linguistico che ha guidato il Pentagono (e la Casa Bianca) negli ultimi anni,  ad 81 anni appare ansioso di voler costruire una “leggenda” intorno al suo “personaggio”.

La sua carriera politica è tracciata dai “fiocchi di neve”, memorandum indirizzati ai suoi collaboratori, ai Presidenti e vice-Presidenti, che oggi formano un archivio incredibile (se ne contano almeno 20.000 negli ultimi 6 anni passati al Pentagono); e non ci sono soltanto Saddam e l’Iraq nelle sue memorie: partendo dal suo concetto di difesa –qualche giornale lo chiama “ministro dell’ (auto) difesa”, arriva a spiegare quello di prevenzione per giustificare la distruzione di quei regimi che ospitano il terrorismo anti-statunitense (Iraq, Iran, Afghanistan, Siria e nord Corea) attraverso la guerra;  e in poche battute e qualche sorriso beffardo riesce a costruire la sua realtà, per poi smontarla:  “Credere nell’inevitabilità di  conflitto può essere una delle maggiori cause di esso”. E poi si rifugia nell’ “immaginazione”, che secondo lui è quel bisogno di tenere tutto sotto controllo, di prevenire.

L’intervista, accompagnata dalla musica di Danny Elfman e supportata dalla fotografia di Robert Chappell, è accompagnata da immagini e video di repertorio che ripercorrono la carriera politica di Rumsfeld, e la sua vita personale (eh già, perché come tutti gli uomini di potere anche lui ha un matrimonio indistruttibile e duraturo che lo ha accompagnato nei suoi successi); tra questi, le sue conferenze stampa al Pentagono durante le quali freddava le domande indiscrete dei giornalisti, con camuffata leggerezza.

Il “punto di vista” del male rappresenta in questa edizione del Biografilm Festival un filo conduttore che si ricollega alla proiezione che ha preceduto The Unknown Known, “El Sicario Room 164” del vincitore dell’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Gianfranco Rosi, che nel 2010 ha girato un documentario su un sicario che dopo essere stato addestrato dall’FBI, dopo aver lavorato nella polizia dello stato messicano di Chiuhuaua, ha prestato la sua opera al servizio dei narcotrafficanti; oggi si è ritirato e vive da fuggitivo tra Messico e Stati Uniti; nonostante sulla sua testa ci sia una taglia di 250.000 dollari, il sicario non è mai stato condannato per i suoi reati; ispirato da un articolo di Charles Bowden, pubblicato su Harper’s Magazine, Rosi ha girato il documentario all’interno della stanza 164 di un motel al confine tra Stati Uniti e Messico. La narrazione è affidata completamente ai racconti del boia incappucciato, che attraverso le parole, un blocco e un pennarello, enumera fatti e accadimenti della sua vita e del suo lavoro in maniera asciutta e senza digressioni né coinvolgimenti: le torture inflitte e le strategie messe in atto nel suo lavoro sembrano la routine di un qualsiasi impiegato. La stanza 164 è asettica, non c’è traccia di presenza “umana” nella camera da letto, nel bagno, nel soggiorno e la narrazione viene intervallata da immagini  delle città di frontiera che evoca quasi le storie criminali appena raccontate dal sicario;  la fotografia, curata dallo stesso Rosi, è statica, essenziale, lucida: le strade sono silenziose, assolate, deserte e inquietanti.

E i lavori di Rosi e Morris sono un’anticipazione al candidato premio Oscar The Act Of Killing di Joshua Oppenheimer, prodotto da Errol Morris e Werner Herzog, che sarà proiettato sabato 28 settembre al Biografilm Festival nella versione integrale di 159’: il regista incontra gli aguzzini di Pancasila Youth, ovvero l’organizzazione paramilitare indonesiana incaricata della repressione del Partito Comunista Indonesiano (PKI) nel 1965 dopo il colpo di Stato messo in piedi dalle forze militari di Anwar Congo.

Per concludere, anche The Gatekeepers di Dror Moreh, in programmazione domenica 29 settembre alle 20.30, si occupa di filmare “il male” e il suo”punto di vista”: questa volta a raccontare la loro “verità” sono i sei capi del servizio anti-terrorismo israeliano, lo Shin Beit, in un documentario che ha fatto discutere anche in Israele.

Anna Quaranta

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