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C-MOVIE Film Festival

Il cinema di animazione nella Golden Age americana

L’incontro con Luca Raffaelli, Mariuccia Ciotta e Lorenzo Pulito ha approfondito alcuni aspetti dell’arte cinematografica animata

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Uno degli eventi che hanno occupato le mattine del C-MOVIE di Rimini è stato proprio quello riguardante il cinema d’animazione americano durante gli anni Trenta. A discuterne, Luca Raffaelli (uno dei massimi esperti italiani nel mondo del fumetto e del cinema d’animazione, nonché scrittore, saggista, sceneggiatore e regista), Mariuccia Ciotta (giornalista e critica cinematografica, ha scritto saggi e libri su autori e generi, diretto Il Manifesto ed è una delle massime esperte del mondo Walt Disney) e Lorenzo Pulito (montatore video e appassionato ricercatore della storia dell’animazione, soprattutto riguardo alla Golden Age americana).

Dopo aver introdotto le ragioni che hanno reso possibile questo interessantissimo appuntamento, gli ospiti hanno spiegato come la sezione da loro considerata è spesso stata (ed è ancora) ingiustamente emarginata.

Molti sono stati i cortometraggi proiettati, offrendo così al pubblico la possibilità di riscostruire in modo più completo il variegato panorama del cinema d’animazione della Golden Age. In questo articolo, quindi, ne prenderemo in considerazione solo alcuni, enunciando anche le varie controversie e problematiche che appaiono in essi.

Il cinema d’animazione: un’introduzione

Durante gli anni Trenta, i principali Studios americani producevano corti d’animazione in serie, spesso proiettati prima dei lungometraggi proposti nei vari cinema. Molti di essi hanno acquisito grande popolarità: pensiamo, ad esempio, a Felix o a Mickey Mouse. Successivamente, con il migliorare degli strumenti di realizzazione dei film, il cinema d’animazione ha subito la stessa sorte, aumentando sempre di più la propria qualità. Il primo vero e proprio lungometraggio d’animazione è del 1937 e continua a rimanere un grande classico: stiamo parlando di Biancaneve.

Durante il convegno è emerso come il cinema d’animazione sia prevalentemente associato a un pubblico infantile. In realtà non è così: infatti, molti lavori animati sono stati censurati a causa dei propri contenuti quando il Codice Hays era in vigore e controllava con grande rigidità il contenuto delle opere cinematografiche.

Betty Boop e i Fleischer Studios

Uno dei focus principali della mattinata è stato il cartone animato Betty Boop, prodotto dai Fleischer Studios.

In Bamboo Isle, ad esempio, possiamo osservare dei veri artisti che performano all’inizio del cortometraggio. Le successive animazioni dei ballerini sono state realizzate con la tecnica del rotoscopio, inventata proprio da Max Fleischer. Questa prevede che il disegnatore ricalchi le scene a partire da una pellicola filmata in precedenza.

Sicuramente osservando Betty Boop ai nostri giorni è possibile rendersi conto dell’ideologia americana presente durante gli anni Trenta. La protagonista, infatti, è fortemente sessualizzata, rappresentata come una donna un po’ sciocca e come un essere decisamente inferiore rispetto alla controparte maschile. I personaggi neri di Bamboo Isle, invece, sono dipinti quasi come fenomeni da baraccone e dai tratti un po’ scimmieschi.

Riguardo al corto Time for Love, con protagonista l’amore instauratosi tra alcuni cigni, particolarmente sorprendente è la presenza di fondali che appaiono tridimensionali e che aiutano a creare una grande profondità di campo. Il punto di partenza per restituire questo effetto è la creazione di modellini delle scenografie, con un fondale che muta al cambiare del movimento dei personaggi.

Oltre a ciò, Mariuccia Ciotta ha ricordato come una delle grandi differenze tra Walt Disney e i Fleischer Studios riguardi la creazione di personaggi con una personalità. Questo discorso vale per la Disney. Osservando i corti dei Fleischer, infatti, è evidente come le figure presenti siano, di fatto, privi di qualsiasi tipo di spessore, privilegiando inoltre la presenza di gag. Lo spessore dei personaggi, inoltre, li avvicina maggiormente al pubblico, instaurando così un legame empatico tra chi guarda e il soggetto sullo schermo.

Luca Raffaelli, invece, ha fatto notare come il mondo di Walt Disney sia un “mondo bambino”, in cui i personaggi, privi di ambiguità, esprimono chiaramente e in maniera spontanea le proprie emozioni. I cartoons realizzati dagli altri Studios, invece, spesso ricordano allo spettatore che il mondo vero è ben differente, rompendo talvolta la quarta parete per rivolgersi direttamente allo spettatore.

To Spring

Nel 1936 esce il cortometraggio d’animazione To Spring, prodotto da Harman e Ising per la serie della MGM Happy Harmonies.

In quest’opera è possibile osservare il grande salto di qualità rispetto ai primi lavori d’animazione, complice anche l’introduzione di nuove tecnologie, quali il Technicolor. Grazie al tripudio di colori che permea To Spring, infatti, il corto sembra finalmente sfoggiare la possibilità di utilizzare questa nuova tecnica. La Disney, infatti, aveva utilizzato questo processo dal 1932 al 1935, possedendo un contratto esclusivo riguardo all’utilizzo per tre anni.

To Spring costituisce tecnicamente, quindi, una perfetta risposta ai film d’animazione Walt Disney in Technicolor.