Su Sky Atlantic termina la trasposizione seriale di Antonio Scurati, M. – Il Figlio del Secolo. E al netto della maschera grottesca e spesso fuori controllo gestita da Joe Wright, Mussolini e Marinelli rappresentano qualcosa che conosciamo bene. Il cattivo che diventa antieroe in un mondo in cui domina incontrollato nella sua tracotante esigenza di essere la storia senza farsi dominare da essa. Lontano dal giusto e impavido Churchill ne L’ora più buia, Wright e gli sceneggiatori Bises e Serino non sono tanto condizionati da un racconto storico che pure c’è attraverso la salita del Duce e gli inserti finzionali dei cinegiornali. Ciò che invece Mussolini e Marinelli fanno è trasportare il cattivo americano in salsa italiana.
La serie difatti scommette sulle interpellazioni del Frank Underwood di House of Cards, sulla tracotanza furbesca e ingorda del Pinguino di Colin Farrell, operando un transfert della maschera che sconfina nel campo cinematografico e nell’assolutezza del super uomo depalmaiano, poi in declino, interpretato da Al Pacino. Ciò che si vede nella serie non è l’agiografia di un personaggio storico e forse nemmeno Mussolini e Marinelli . Siamo invece di fronte ad un tentativo abbastanza lampante e in parte riuscito : rileggere l’antieroe dell’industria hollywoodiana.
Il dialogo continuo tra Frank Underwood e chi guarda – Mussolini e Marinelli
In tale rilettura M. – Il Figlio del Secolo fa un abbondante uso della complex tv americana e anche abbastanza recente. Guardando la serie, con Mussolini e Marinelli riemerge un noto antieroe interpretato per cinque stagioni da Kevin Spacey nella serie Netflix House of Cards. Frank Underwood, il doppiogiochista che tra intrighi e omicidi arriva a sedere nella Studio Ovale, l’emblema della politica americana più bassa fatta di cinismo allo stato puro, sete di potere e mani sporche di sangue. E l’Underwood di Spacey usa uno stratagemma che in modo efficace e diretto ci fa immedesimare con le sue azioni criminose.
Il protagonista di House of Cards usando l’interpellazione rompe la quarta parete in un rapporto stretto e dialogale con il pubblico. Lo fa molto spesso a fine di un episodio quando deve rendere conto allo spettatore di quanto il politico non sia così differente da un gangster, ma anche in mezzo a punti nevralgici delle scene, evidenziando il suo punto di vista in situazioni che molto spesso lo vedono in bilico tra vittoria e sconfitta.
Marinelli e il confronto con Kevin Spacey
Nella serie M. – Il Figlio del Secolo, Mussolini e Marinelli fanno ampio uso di questo escamotage; il Duce però, a differenza di Underwood, usa l’andare oltre la quarta parete come quel narratore che tiene le redini di una storia, la sua storia. Lo si vede per quasi metà serie quando ogni evento, che sia la marcia su Roma o le sue valutazioni amorose con Rachele o l’amante Margherita Sarfatti, viene direzionato da Mussolini raccontandoci fine e inizio di ciò che conosce già, e quello che deve dire in virtù della vita della serie. Il dispositivo dell’interpellazione cambia e viene gestito meglio quando il Duce è schiavo della coazione a ripetere degli eventi.
È qui che si assottiglia la distanza con Underwood, avvicinandosi alla rottura della quarta parete come finestra sul pubblico e non più come presenza onnisciente. La differenza più calzante però tra Spacey e Marinelli risiede nel modo in cui affrontano la corruzione dell’uomo prima del politico. Underwood rappresenta la realtà della storia americana mente il Duce di Joe Wright è più una maschera oscillante tra la caricatura e il trasformismo scenico. Fragile, a differenza del personaggio di Spacey, nel dubbio che lo spettatore si dimentichi di seguire il suo sguardo.
Il fisico del Pinguino e il polso di Tony Soprano – Mussolini e Marinelli
È questo mondo della serie tra noir e gangster movie che impedisce a Mussolini e Marinelli di produrre in chi guarda un’immedesimazione totale. Sceneggiatori e regista sono stati attenti a non commettere il rischio di molti prodotti audiovisivi con personalità antieroiche che alla fine finiscono per solleticare il pubblico di norma sedotto da tale condotta amorale. Il Duce che vediamo agisce come un gangster tozzo, una macchina bramosa di comporre criminalità e sessualità.
È il Pinguino di Colin Farrell che riempie gli spazi romani e le case popolari romagnole così come Oz strabordava nel mondo nero di Gotham. Ma è nella costruzione del personaggio che in parte ricorda il celebre mafioso della serie HBO Tony Soprano; in M. – Il Figlio del Secolo c’è una parte politica dei fascisti con l’irruenza del Duce nel prendere il potere, e poi un’altra con cui Mussolini e Marinelli giocano continuamente con la maschera di James Gandolfini.
Un Duce grottesco e senza umanità
I vari Balbo e Cesarino sono le braccia armate e razionali del Fascismo, un po’ come lo erano per Tony Silvio Dante e Chris Moltisanti interpretando lotta e ragione di un ecosistema non così dissimile dalla cosca mafiosa dei Sopranos. Un quadro perenne tra legalità e illegalità, in cui il Duce interpreta un Tony Soprano irruento, forte nell’atto criminoso, e debole, insicuro nella sua sfera privata. Certamente non ha di Gandolfini tutta quella impalcatura da antieroe shakespeariano che attiva il bottone dell’umanità e dell’immedesimazione. No; Mussolini e Marinelli aggirano completamente lo specchio psichico dell’uomo preferendo mostrare la sete di potere del Duce, anche se, negli ultimi episodi, grazie all’omicidio Matteotti, viene fuori un po’ quell’atteggiamento di Tony Soprano di porsi delle domande tra se stesso e la sua coscienza. Ma sono solo visioni di una maschera che è una bestia divisa tra teatro e serialità americana.
Il Duce come antieroe cinematografico – Mussolini e Marinelli
Se per molti tratti M. – Figlio del Secolo è debitore dei disfunzionali antieroi della complex tv americana, lo è anche rispetto agli antieroi del grande schermo. Per lunga parte della serie, mentre si fa famigliarità con la gestualità di Mussolini e Marinelli, ci sono diversi aspetti che ricordano un imperatore inetto, duro e nel contempo instabile. Il Duce della serie Sky non è poi molto dissimile da un altro personaggio storico rappresentato però sul grande schermo : il Napoleone di Ridley Scott. Entrambi condividono la loro nevrosi verso il potere, l’inettitudine sessuale e l’essere soggiogati dall’universo femminile. Phoenix e Marinelli non sono dei grandi architetti della politica, e, così come nel film di Scott, anche nella serie emerge la fisionomia di un personaggio che si trova per caso il potere tra le mani, e che, nel non saperlo gestire, se ne fa possedere diventando egli stesso potere.
Entrambi vengono rappresentati nella propria violenza e impotenza sessuale, apparentemente leader di un popolo, ma subordinati da due donne carismatiche e influenti ai loro occhi. Nel Mussolini di Marinelli c’è anche l’elemento Scarface di Brian De Palma; riecheggia nella maschera del Duce tutto quel senso di onnipotenza, del non aver bisogno di nessuno per assolvere al compito dei desideri del super uomo fascista. Un quadro che fa emergere Mussolini e Marinelli come dei perfetti bilanciatori antieroici del piccolo e grande schermo.
Il Benito Mussolini di M. – Il Figlio del Secolo è una bestia che si muove tra il confine mediale della serialità e del cinema. Interpella come Frank Underwood ed è interiormente discontinuo come il Bonaparte di Joaquin Phoenix. Mussolini e Marinelli nel corso della serie tengono fede al dogma pirandelliano secondo il quale nella vita, come sulla scena, ci sono tante maschere e pochi volti.