Il prequel del bellissimo “Monsters & co.” vede Mike e Sulley al college, quando si conobbero e si fronteggiarono come rispettivi campioni di spavento: il piccolo occhio verde studia come un matto mentre il peloso mostro azzurro si fa forte del suo dono naturale
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia
Durata: 110′
Genere: Animazione
Nazionalità: USA
Regia: Dan Scanlon
Data di Uscita:
Facciamocene una ragione: il genio e la profondità che la Pixar ha sparso a piene mani fin dalla sua nascita per arrivare a Toy Story 3 hanno ceduto il passo al mestiere e al professionismo dell’industria, come risulta evidente con Cars 2, Brave e come i progetti futuri della casa fanno immaginare. Colpa della Disney, che ha acquisito definitivamente il marchio, della crisi o di chi volete, ma è un fatto. Che Monsters University conferma.
Il prequel del bellissimo Monsters & co. vede Mike e Sulley al college, quando si conobbero e si fronteggiarono come rispettivi campioni di spavento: il piccolo occhio verde studia come un matto mentre il peloso mostro azzurro si fa forte del suo dono naturale. Ma le Spaventiadi faranno imparare loro che l’unione fa la forza. Diretto da Dan Scanlon, il film rilegge i miti fondativi dell’università, dalla goliardia alle confraternite, e quindi anche del potere americano di cui il college di solito è un’immagine in nuce, con la competizione, il successo, la divisione in società e classi, l’importanza socio-politica dello sport.
Tutta la prima parte di Monsters University pare, seguendo lo spirito del film originale, prendere in giro tanto il cinema quanto la società che racconta, mettendo le basi di una parodia che ha il coraggio di trasformarsi in satira e che se ammicca a Harry Potter (più di un riferimento al torneo dei Tre Maghi contenuto nel Calice di fuoco) lo fa perché anche nella serie letteraria di Rowling l’allegoria con il mondo reale è forte. La seconda parte però sembra gettare la spugna e spingersi verso lidi creativi e narrativi più tradizionali, arrivando quasi a sconfessare l’irriverenza della prima parte.
È l’ideologia di fondo ad apparire meno appassionante e convincente del predecessore: se in quello infatti erano derisi i meccanismi industriali e lo sfruttamento dei bambini (chiaro riferimento auto-ironico alla Disney), qui torna in auge l’etica del lavoro e della vittoria. Niente di grave, però è un punto di vista banale che sfiora lo stereotipo. E se le gag sono degne dei migliori Pixar, si pensi per esempio ai personaggi della sgangherata confraternita, alla corsa contro le sfere velenose o alla geniale tecnica per spaventare gli adulti che è la parodia definitiva del genere horror, il senso del racconto avvince di meno, si fa sentire l’attitudine dell’industria e non la voglia di stupire con il cinema. È forse un dettaglio. Ma un dettaglio che probabilmente ci mancherà non poco.
Emanuele Rauco
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