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In Sala

Sta per piovere

Quando suo padre perde improvvisamente il lavoro, Said si vedrà negato il permesso di soggiorno e sarà costretto insieme al padre e al fratello a “tornare in patria”, in Algeria, un posto che lui non ha mai neanche visto.

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Anno: 2013

Nazionalità: Italia

Durata: 91′

Genere: Drammatico

Regia: Haider Rashid

Distribuzione: Radical Plans

Uscita: 9 maggio 2013

 

Presentato al Human Rights Nights di Bologna lo scorso 21 aprile, nell’ambito di una rassegna dedicata al Cinema Migrante, Sta Per Piovere affronta il tema del diritto negato della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri, e va a fondo della questione dell’identità delle seconde generazioni.

Terzo lungometraggio del regista, Haider Rashid, nato a Firenze nel 1985, da padre iracheno e madre italiana, il film è ispirato alla sua storia personale e alla percezione che il Paese ha da sempre per la figura dell’ “immigrato”: “Da figlio di immigrati da fuori e da dentro – mia madre ha lasciato la Calabria da ragazza, trasferendosi a Firenze, dove sono nato – associo la parola ad un senso di dolore, di scoperta e di un nuovo futuro”. Il film racconta la storia di Hamid (Mohamed Hanifi, che prima di questo film non aveva mai recitato in vita sua), uomo algerino di sessant’anni, che in Italia ha costruito la sua vita, il suo lavoro di operaio e la sua famiglia, composta dai figli, Said (protagonista del film) e Amir; vittima della crisi che purtroppo non è finzione scenica ma triste cronaca, il padrone della fabbrica dove Hamid lavora si suicida e la fabbrica, già in cattive acque è costretta a chiudere; senza un lavoro con cui possa mantenersi, ad Hamid viene respinto il permesso di soggiorno ed è costretto a tornare in Algeria; per Said e Amir c’è la possibilità di restare, grazie all’intervento di un avvocato (interpretato da Denny Boccolini) e provare a chiedere la cittadinanza, incappando nella burocrazia e, ancora peggio, nella chiusura delle istituzioni a causa di stereotipi e luoghi comuni, che non sono altro che la maschera della paura dell’ “altro”.

A fare da cornice alla storia drammatica, c’è la rete sociale che circonda il protagonista e i co-protagonisti: da trent’anni in Italia, Hamid è perfettamente integrato all’interno della sua fabbrica, partecipa attivamente alle riunioni sindacali ed è affezionato al “padrone”, simbolo della piccola-media impresa italiana che ha fatto progredire il Paese e che ora paga i conti della crisi; Said è fidanzato con Giulia (Giulia Rupi, che oltre alle collaborazioni cinematografiche vanta anche un curriculum teatrale al Silvano Toti Globe Theatre di Roma ne L’Otello e I due gentiluomini di Verona di Shakespeare), una ragazza bella, pulita e sincera e insieme a Said sono l’esempio della “meglio gioventù” italiana.

Said, interpretato da Lorenzo Baglioni, al suo debutto cinematografico, è ambizioso, lavora fa il panettiere, studia, parla italiano correttamente e con proprietà di linguaggio e ha un accento fiorentino che tradisce i tratti somatici e il nome arabo; “è un personaggio con una forte morale, diverso dall’usuale rappresentazione che spesso è fatta in Europa dei giovani, degli stranieri o delle seconde generazioni” dice il regista, che ha costruito la figura di Said ricalcando quella dell’eroe classico, che all’interno della narrazione si sacrifica e resta fedele ai suoi principi, perché il fine non giustifica i mezzi. Amir, interpretato da Amir Ati, anche lui al suo esordio cinematografico, è decisamente più integrato nello stile di vita “all’italiana”: anche se affezionato al padre e al fratello, non ci pensa due volte a cogliere l’opportunità di restare in Italia, e non seguire il padre. L’avvocato e il giornalista Giulio Greco (interpretato da Francesco Grifoni) al quale Said si rivolge per diffondere la sua storia e cercare un appoggio nella comunità, provano a vincere l’indifferenza e l’ignoranza delle istituzioni e dei cittadini ma emerge chiaramente che i loro interventi, per quanto dettati dall’intenzione sincera di aiutarlo, non sono del tutto incisivi; forse perché chi è nato e vissuto in un Paese “giusto”, per quanto sia aperto culturalmente e creda fermamente che il rinnovamento del Paese possa arrivare dai “nuovi italiani”, che lavorano, pagano le tasse e creano ricchezza, non riesce purtroppo a comprendere le difficoltà e le paure di chi è italiano “di seconda generazione”.

La rappresentazione autentica dei sentimenti è stata resa possibile, nonostante l’approccio realistico, grazie alla preparazione degli attori, supportati dal regista. “Il cuore del mio lavoro”, spiega Rashid, “è sempre l’attore, con cui c’è una grande preparazione sui personaggi, sui modi in cui loro possono legarsi ad essi e sulla scoperta di una libertà di fronte alla macchina da presa che gli permetta di sentirsi liberi ed investigare, in scene spesso improvvisate, i loro lati più profondi.

L’inquietudine ed i tumulti interiori che derivano dall’essere costretti ad abbandonare la propria casa, lo spaesamento e la fusione delle due culture, quella d’origine e quella d’appartenenza, vengono raccontate anche attraverso la fotografia di Alessio Valori e la colonna sonora. Quest’ultima in particolare, firmata dall’australiano Tom Donald è caratterizzata da una “commistione di sonorità con contaminazioni arabe grazie ai flauti di Jon Le Champignon e all’oud (strumento a corda, simile al liuto, n.d.R.) di Stefanos Tsourelis”. Il pianoforte di Donald e la viola di Katja Lazavera contribuiscono a raccontare le tensioni interne del protagonista.

C’è da sperare che Sta Per Piovere non resti un esempio isolato di film italiano che affronta la questione del multiculturalismo e degli italiani di “seconda generazione” e c’è da sperare che si diffonda nell’opinione pubblica e nella Cultura condivisa che il multiculturalismo è la vera forza rinnovatrice del Paese, “una forza inarrestabile, perché è la vera essenza dell’evoluzione e dello sviluppo umano”, come afferma Rashid, e le società devono accettare il processo naturale che sta avendo luogo in tutto il mondo. Dobbiamo imparare a convivere, a mio avviso, anche con il fatto che hanno il diritto di migliorarsi culturalmente socialmente ed economicamente, sfatando il mito del migrante ignorante e destinato ai mestieri più modesti.

Anna Quaranta

 

 

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