Direttamente dal Festival di Cannes 2024 dove ha vinto la Palma d’or per il miglior cortometraggio The Man Who Could Not Remain Silent arriva al Eurobalkan Film Festival, a Roma.
Il festival, organizzato dall’associazione italo-balcanica Occhio Blu, alla sua settima edizione, presenta in concorso cortometraggi l’ultimo lavoro del regista croato Nebojša Slijepčević.
La Storia e le storie
Il 27 febbrio 1993 diciotto bosniaci musulmani furono fatti scendere dal treno che da Belgrado portava a Bar. Il gruppo paramilitare serbo delle Aquile Bianche li rapì e li uccise. Solo un uomo su 500 passeggeri si oppose, diventando l’unico non bosniaco vittima del massacro di Štrpci. Era Tomo Buzo, l’uomo che non potè rimanere in silenzio.
The Man Who Could Not Remain Silent di Nebojša Slijepčević drammatizza in immagine e suono questa traccia della storia bosniaca senza però dare allo spettatore le coordinate precise dell’evento.
All’interno del vagone di un treno fermatosi per un motivo ignoto, un gruppo di uomini e ragazze guarda infastidito ma inerme una banda di militari chiedere documenti e religione a tutti i passeggeri. Milan il documento non lo ha e sta per essere deportato quando Tomo, sconosciuto compagno di tratta, prende le sue difese.
In un piccolo esercizio di fino che lavora sul rendere la Storia di un Paese le storie minime dei suoi cittadini, The Man Who Could Not Remain Silent diventa contributo alla memoria ma anche, inevitabile, monito sul presente. La sensibilità contemporanea al tema dell’intolleranza dicotomica cristiano-musulmana è infatti accesa dal lavoro di Slijepčević. Lasciando un terrore moderno nel guardare a quello passato.
Cinema essenziale
The Man Who Could Not Remain Silent, dal punto di vista formale, è un trattato sul cinema essenziale. Con questa definizione si vuole parlare di quella modalità autoriale che punta su una messa in scena ridotta ma che riesce, nella sua semplicità, a raggiungere storia e forma.
Il racconto si svolge e scioglie all’interno di un singolo vagone assoggettato dalla camera a 360 gradi. Con pochissimi attori, e ancor meno battute, nel vagone, la camera, come un osservatore impossibile, gioca e si muove intorno a questa visione circolare che ritorna e caratterizza molteplici aspetti del racconto: dalle relazioni spaziali tra gli attori alla circolarità della narrazione che inizia e finisce con uno sfondo nero, e il fischiare di un treno che arriva come se ne va.
Un lavoro pulito, di una semplicità efficace e un vibrante valore, passato e presente.
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