Il 7 ottobre 2024 in conferenza stampa Martin Scorsese inaugura l’inizio del suo soggiorno torinese, dove sotto il firmamento onirico dell’Aula del Tempio del Museo del Cinema di Torino ha ricevuto di sera il premio Stella della Mole, un’onorificenza di cui sono stati insigniti altri autorevoli cineasti negli anni, tra cui recentemente alcuni suoi collaboratori: lo sceneggiatore Paul Schrader e gli scenografi premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Ma la permanenza di Scorsese nel capoluogo piemontese, patria nazionale del nostro cinema fin dagli albori del muto e roccaforte museale dell’archeologia dei film e di altri spettacolari meraviglie all’interno della Mole, ha un sapore diverso per fan, studiosi, cinefili.
Due giorni festosi
Oltre alla serata di gala con conferimento del riconoscimento, il maestro newyorkese sarà protagonista di una masterclass domani alle 18.00, a cui seguirà la presentazione alle 20.00 di un suo classico di inizio carriera e della retrospettiva a lui dedicata al Cinema Massimo (tutti e due gli incontri con il pubblico sono ormai sold out). L’emozione di accogliere colui che è più di un regista e produttore, ma anche uno storico del cinema, un imprescindibile promotore del restauro delle pellicole e della loro distribuzione del mondo, è palpabile. Citando le parole decretate dal Museo del Cinema stesso,
con una carriera monumentale che abbraccia sei decenni di film fondamentali, Scorsese ha cementato saldamente il suo status di leggenda e ha lasciato un segno indelebile sul cinema come lo abbiamo conosciuto, scardinando al contempo molte delle sue convenzioni. Il suo impressionante corpus di opere si è confrontato con la ricerca dell’American Dream e con temi quali l’identità italo-americana, i concetti cattolici di colpa e redenzione, la fede, il machismo, il nichilismo, il crimine e il settarismo, spesso esplorando il ventre squallido di New York e scavando nella sua storia.
Un legame che proviene da lontano
È quasi una chiusura del cerchio fortemente ricercata, quella di Martin Scorsese a Torino, dopo l’introduzione da lui firmata al volume Cabiria & Cabiria, edito dal Museo Nazionale del Cinema in occasione del restauro del kolossal di Giovanni Pastrone, e dopo la memorabile mostra dedicata alla sua filmografia nel 2013, in cui in una lettera esposta e indirizzata all’allora Direttore del Museo, Alberto Barbera, si dichiarava dispiaciuto di non aver potuto visitare quelle sale ricche di storia del cinema, perché impegnato nella post-produzione di The Woolf of Wall Street.
A distanza di più di dieci anni Torino, il cinema italiano e i cultori scorsesiani coronano il sogno più hollywoodiano e intellettuale insieme, ascoltando la voce profonda e partecipe di un cinefilo d’eccezione, il regista con più candidature agli Academy Awards, l’autore di Mean Streets, Taxi Drivers, Toro Scatenato, Fuori orario, Quei bravi ragazzi, L’età dell’innocenza, Casinò, Al di là della vita, The Aviator, The Departed, Shutter Island, Hugo Cabret, Killers of the Flower Moon e tanti altri titoli memorabili.
In conferenza stampa Martin Scorsese, introdotto dal Direttore Domenico De Gaetano e dal Presidente Enzo Ghigo, è generoso, loquace, entusiasta della modernità e del digitale, dell’analogico e della classicità, regala aneddoti e retroscena, approfondisce le risposte con ricordi da destinare agli annali, storie personali, riflessioni teoriche; con una notizia in coda che è come un abbraccio a tutte le platee del mondo: il maestro, nonostante i progetti in sospeso come quelli su Gesù e su Frank Sinatra, non ha nessuna intenzione di ritirarsi.
Restaurare: un atto di civiltà
Si inizia con la scoperta dell’urgenza impellente di restaurare i film per salvaguardarli, a partire dagli anni Ottanta; con altri colleghi e amici del calibro di George Lucas, Brian De Palma, Sidney Pollack nacque la mesta consapevolezza del degrado di alcune pellicole, deteriorate dal tempo e dall’usura, svilite nei toni cromatici originali e non maneggiabili ancora con le raffinate tecniche odierne di restauro.
Da quel colpo di fulmine straziante che fu la visione sbiadita di Niagara di Henry Hathaway e Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder, entrambi con Marilyn Monroe, si sviluppò progressivamente una missione dal sapore umanitario, confluita poi a partire dagli anni Novanta nella progettualità di nucleo di cineasti promulgatori della tutela della pellicola (tra cui, oltre a Scorsese stesso, anche Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola e Woody Allen), che riuscirono a instillare nelle major l’idea che il loro catalogo filmico fosse un oggetto artistico da preservare e anche da studiare per gli studenti dell’UCLA. Sono gli atti di costituzione della Film Foundation, che ha contribuito al restauro di oltre mille film, un lavoro ampliato da Scorsese con il World Cinema Project, che distribuisce ancora oggi tali opere in tutto il mondo.
“Il futuro sarà luminoso”
Sul futuro dello stato di salute del cinema nell’era oltre il digitale, tra realtà virtuale e social media come TikTok, introdottogli dalla figlia Francesca in modo ludico ma rivelatore, la visione del regista è ottimista e fiduciosa delle nuove strade sperimentali offerte dalla tecnica. Dichiara infatti con lucido entusiasmo e curiosità:
Il cinema si sta evolvendo, è ancora in una fase infantile; non so in che direzione stia andando, ma la settima arte può essere tutto, anche in forma virtuale e animata: tutti gli strumenti sono a nostra disposizione.
Soffermandosi poi sul suo rapporto con un’altra forma narrativa, quella seriale televisiva, il regista ricorda le sue esperienze come regista (del primo episodio) e di produttore di Boardwalk Empire e Vinyl, analizza la sua collaborazione con una piattaforma streaming come Netflix che gli ha permesso di realizzare qualcosa di innovativo ed espanso con la collaborazione di Al Pacino, il film The Irishman: riconoscendo a se stesso la familiarità non coltivata in progetti a lungo termine come ha saputo fare Paolo Sorrentino con The Young Pope, conferisce legittimità espressiva alla forma seriale, che può avere tra le preferenze dello spettatore una fruibilità maggiore del cinema stesso. Concludendo poi afferma:
sono due diverse esperienze, due distinte forme romanzesche.
Il passato non è una terra straniera
Se l’incontro si è aperto tra gli applausi con il conferimento di un dono prezioso da parte del Museo del Cinema – bobine scartate e inedite di Cabiria di Giovanni Pastrone, kolossal amatissimo dal nostro ospite – il regista non è un artista che si radica solo nel passato, pur coltivato con una cinefila senza eguali, filantropica e non accademica: per il maestro newyorkese si deve guardare anche al futuro, o meglio a un orizzonte che non può prescindere dal passato.
Dichiarando il suo impegno anche con la non fiction, espone il suo attuale lavoro su un documentario dedicato alle antichità della Magna Grecia, su nuovi reparti archeologici portati alla luce in Sicilia, da dove giunge e dove ritornerà nei prossimi giorni, anche come famigliare ritorno alle origini nel paese di suo nonno. Animato instancabilmente da una cultura enciclopedica, cita il mito di Demetra e Persefone, l’arte bizantina, Giustiniano e Teodora, Shakespeare e l’Orlando furioso.
Ineguagliabile nell’intreccio coerente e profondo tra storicità, linguaggi e tendenze, fuoriclasse della settima arte che si arricchisce del passato guardando senza cupa amarezza agli anni a venire, pilastro della storia del cinema, protagonista della New Hollywood, amante e fine conoscitore della cultura nostrana, Martin Scorsese saluta il pubblico di giornalisti con quello che è un arrivederci: non solo al successivo appuntamento torinese, ma al prossimo film, al progetto in corso, all’imminente scoperta; perché il cinema per lui ha la speranza di un’arte inesauribile.