Tre scintille documentarie, l’ultimo lavoro della newyorkese Naomi Uman sulla rappresentazione del mondo rurale in Albania. Three sparks si presenta in un formato anomalo (rapporto d’aspetto 4:3 stondato agli angoli) per un totale di 95 minuti non facilissimi da seguire. All’inizio appare come un puro gioco sperimentale che assembla materiali di repertorio, suoni tradizionali e cartelli dell’epoca del muto in due lingue: inglese e albanese. Segue poi una sezione interamente in b/n e finisce con una serie di videoselfie con telecamera quasi sempre fissata su supporti di fortuna, a colori.
Three sparks Prima parte
Le immagini sono sfocate, sporche, graffiate da effetti visivi che ne sottolineano l’arcaicità (o presunta tale), quasi fossero riemerse da un archivio in super 8. Si citano leggende e si mostrano cani, animali spaiati dal contesto, indecifrabili… Si tratta del punto di vista personalissimo dell’autrice. Filo rosso di questa sezione visiva, molto vicina alla video-arte, la costruzione di un pupazzo hand made da parte di una signora albanese: grazie al timelapse una pecorella vestita di rosso fa il palio con una pecora vera, viva, macellata da un anziano contadino tra i monti albanesi.
Three sparks Seconda Parte
Le immagini si alternano secondo un montaggio lento fatto di piani sequenza che mostrano le principali attivitĂ dei contadini albanesi. É un bianco e nero fortemente contrastato, in cui di frequente la sovraesposizione cancella i tratti distintivi dei personaggi. Sono azioni arcaiche: caricare i muli, piantare le patate, arare il terreno. Una famiglia raccolta nelle sue occupazioni quotidiane al ritmo ripetitivo e quasi metafisico della vita contadina. Ricorda addirittura Ejzenstejn o i primi film di Ciprì e Maresco grazie all’uso diffuso del grandangolo e soprattutto di un audio rarefatto, straniante: non è l’audio panoramico ambientale, ma un audio amplificato, ravvicinato fino al dettaglio: il respiro della mucca, i passi del contadino, i morsi di un bambino che mastica una mela. Un effetto potente che allontana dal realismo del b/n per avvicinare una dimensione metafisica dell’immagine filmica.
Terza Parte
L’ultima parte rivela la partecipazione attiva degli abitanti del villaggio alla costruzione delle riprese precedenti. Una sorta di apparente backstage che in realtà è portatore anch’esso di narrazione: lo sguardo dello spettatore si sposa con quello dei personaggi mostrando in modo fortemente metafilmico, lo sguardo della regista. Uno sguardo paziente che si insinua nel tempo reale dei gesti contadini: il pane, il gioco dei bambini, i traslochi, fino alla partecipazione attiva della stessa regista che si espone in primo piano mentre viene truccata da una adolescente.
Queste due immagini accostate, estratte da fotogrammi del film, mostrano la stessa sequenza usata con funzioni e modalitĂ diverse nella seconda e nella terza parte del film
Un viaggio antropologico alla ricerca della BESA
La BESA è un precetto culturale della tradizione albanese, indicante grosso modo l’onore individuale. La BESA è l’espressione fondante di una cultura in cui vigeva il codice legale consuetudinario, noto come Kanun. Tutte informazioni che ricaviamo dai cartelli inseriti dalla regista. Tra le fattispecie in cui si applica il principio della conservazione della besa c’è l’accoglienza dell’ospite, ovvero di qualunque forestiero si presenti al pater familias chiedendo ospitalitĂ . Il padrone di casa è tenuto a seguire un rituale di benvenuto che nel film si sostanzia nella sequenza in cui la regista condivide pane fatto in casa, fagioli e un buon caffè.
All’atto del commiato, sempre per la tradizione della BESA, il padrone di casa è tenuto a fare un dono materiale all’ospite, con cui sarĂ permanentemente legato da un rapporto di amicizia. Nel film il dono all’ospite (nel nostro caso la regista stessa cui viene concesso il “diritto” di riprendere la vita familiare) è rappresentato da piccole rane che i bambini, grandi protagonisti del film, cacciano per lei durante una gita insieme in una zona paludosa della campagna. Le raccolgono in una bottiglia piena d’acqua e le promettono che potrĂ portarsele via. Vive, naturalmente.
Una delle ultime immagini del film con il dono dei bambini alla regista, esempio di BESA. A sinistra, il formato dei cartelli presenti lungo tutto il film
Adoravano vedere se stessi, persino quelle persone che sono morte durante la lavorazione del film, ma che ormai ne facevano parte. Molte persone mi hanno detto: ‘Questo è il modo in cui viviamo, tu l’hai catturato. Noi stessi non avremmo mai potuto fare questo film: non vediamo queste cose di noi stessi come qualcosa da filmare, eppure tu hai fatto un ritratto veramente accurato delle nostre vite’.
Il pesante impatto delle tecniche leggere
Naomi Uman, ebrea (lo scrive lei stessa in uno dei cartelli), per metĂ americana e per metĂ messicana, ha deciso di “cucinare” il suo film, Three sparks, in salsa metafilmica. La regista è stata davvero una chef, cucinando per personalitĂ di spicco quali la ricca ereditiera Gloria Vanderbilt (nonchĂ© madre dell’anchorman della CNN Anderson Cooper), ma anche Malcolm Forbes e Calvin Klein. Nel 2023 decide di fare questo viaggio nelle montagne  dell’Albania esplorandone le tradizioni rurali e il ruolo delle donne nella societĂ . Un viaggio personalissimo in cui la macchina da presa digitale e piccolissima diventa la penna per gli appunti di viaggio. Il lavoro di Uman è spesso caratterizzato dalla sua estetica artigianale distintiva, spesso girando, sviluppando a mano e montando i suoi film con le pratiche piĂą rudimentali. Molto interessante specie per chi vuole riflettere, ancora una volta, sulla potenza documentaria non-narrativa dell’immagine filmica.