Alfonso Cuarón, classe 1961, è un regista messicano, premio Oscar, che si è affermato sulla scena hollywoodiana e internazionale da ormai oltre trent’anni. All’università di Città del Messico studiava filosofia, mentre frequentava anche il Centro Universitario de Estudios Cinematográficos. Lì incontrò Emmanuel Lubezki, talentuoso fotografo che diventò presto un prezioso collaboratore. Dopo la laurea, iniziò rapidamente a lavorare per la televisione messicana.
Il film che nel 1991 lo portò ad un successo di critica e pubblico è Sólo con tu pareja che gli permise di accedere a pieno titolo a Hollywood. Ma fu solo con “Gravity” nel 2013, che il regista incontrò una notevole fama, in seguito all’Oscar per la miglior regia per lo sci-fi, con protagonisti Sandra Bullock e George Clooney.
Cuarón è riconosciuto per la sua capacità di mettersi in gioco e la volontà di spaziare tra i generi, portando sullo schermo commedie, thriller, drammi e film di fantascienza. Tra i suoi molteplici capolavori si annoverano: “Y tu mamá también – Anche tua madre”, “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, “I figli degli uomini”, “Gravity” e “Roma”.
Il Pardo d’oro a Locarno
Alfonso Cuarón ha recentemente ricevuto il Pardo d’oro alla carriera, al Festival del cinema di Locarno. Durante la cerimonia, nel ringraziare, ha dichiarato:
”Sono onorato, ma spero che non sia un segno che la mia carriera è finita. Ho ancora molti film da realizzare!”
Ha proseguito poi parlando del suo interesse per un genere ancora inesplorato per lui: l’horror. Ciò che crea degli ostacoli tra il regista e la realizzazione di un film horror è la complessità nella costruzione di personaggi che vanno oltre le urla. Cuarón non vuole sacrificare la profondità emotiva che valorizza le sue figure. La ricerca di un equilibrio tra tale profondità e gli elementi intrinseci di un horror non è semplice.
Il cineasta ha espresso interesse a ricevere aiuto, se dovesse realizzare un film horror, da Guillermo del Toro. Entrambi i registi si conoscono da molti anni e condividono una profonda amicizia e un rispetto reciproco per il lavoro In varie interviste, Cuarón ha riconosciuto che del Toro sarebbe il mentore ideale se dovesse cimentarsi nella realizzazione di un horror.
Venezia e la serie tv “Disclaimer*”
Al Festival del cinema di Venezia Cuarón scrive e dirige un’opera dedicata al piccolo schermo. La serie TV, intitolata Disclaimer*, è tratta dal libro omonimo di Renèe Knight, e avrà come protagonisti i celebri attori premiati dall’Academy, Cate Blanchett e Kevin Kline.
La vicenda narra di un’acclamata giornalista (Cate Blanchett) che per impiego svela i segreti e misfatti altrui. Quando però una figura misteriosa (Kevin Kline) lascerà alla giornalista un libro che la vede protagonista, i suoi segreti rischiareranno di trapelare. La serie debutterà su Apple Tv+ con i primi due episodi a partire dall’11 ottobre. I successivi cinque verranno rilasciati con una cadenza settimanale. Cuarón, a proposito della serie, ha affermato:
“Disclaimer* è il progetto più apertamente narrativo che io abbia mai fatto. Volevo sperimentarmi con qualcosa di diverso”.
Attraverso l’utilizzo di voci narranti in prima, seconda e terza persona, verranno portate alla luce le riflessioni, le ansie e le paure più inconsce dei protagonisti. L’utilizzo della seconda persona per narrare le vicende è un elemento notevole, in quanto il tono accusativo, proprio di questa tecnica, raramente viene utilizzato per progetti televisivi. Sarà interessante osservare come gli spettatori si sentiranno coinvolti in un progetto così originale ed inaspettato.
Cuarón e il suo rapporto con i personaggi
Tra i dettagli più riconoscibili all’interno dei film e delle serie del regista, si ritrova una certa meticolosità nella creazione dei personaggi e della loro profondità emotiva. Le voci narranti nella serie tv Disclaimer* ne saranno sicuramente una dimostrazione, come lo sono stati anche il personaggio interpretato da Sandra Bullock in Gravity e quello di Clive Owen ne I figli degli uomini.
L’elemento che accomuna i protagonisti nei rispettivi film, e che permette di rintracciare la mano d’opera di Cuarón nella loro creazione, è la necessità di redenzione. Il percorso che dovranno affrontare per sopperire alle loro perdite, pur essendo inserito in un contesto fantascientifico, è incredibilmente umano e carnale. Le storie permetteranno ai protagonisti di trovare un riscatto, su uno sfondo apocalittico e caotico, nel caso de I figli degli uomini, e su uno sfondo isolato e alienato, nel caso di Gravity. Due gemme da ripescare: sono film che inducono lo spettatore, non solo alla visione di un’opera d’arte, ma anche a un’analisi introspettiva sull’essere umano.
I figli degli uomini
Ne I figli degli uomini, in uno scenario distopico, la razza umana non è più in grado di procreare ed è prossima all’estinzione. Theo Faron (Clive Owen) si ritroverà involontariamente al centro di un conflitto che gli aprirà gli occhi sulla società umana, o meglio su ciò che ne rimane. Il protagonista vive un enorme disprezzo nei confronti del mondo nel quale si trova, causato in parte da un lutto che lo tocca significativamente.
Il lutto, sebbene appartenga al passato, guida inevitabilmente le azioni e il percorso del protagonista, cambiando il suo sentimento dal disprezzo alla speranza. Inizialmente, il disprezzo è radicato, a punto da portare all’accettazione, ma anche a una attesa dell’estinzione dell’essere umano. Una compagna di viaggio insolita sarà l’unica via in grado di portare luce, su di lui e sul mondo.
Gravity
Nonostante I figli degli uomini fosse un successo di critica, a livello commerciale fu un flop totale. Cuarón in seguito al rilascio del film, nel 2009, si trovò costretto a scrivere una sceneggiatura che attirasse un vasto pubblico al cinema, in modo da coprire i costi di produzione.
La volontà di scrivere uno space movie cresceva parallelamente a quella di creare una storia molto personale. Da questa combinazione nacque Gravity, un film che si dipinge come sci-fi, ma va ben oltre le aspettative. Complice dell’ottima riuscita del film è Emmanuel Lubezki, vincitore del premio Oscar per la miglior fotografia, che eleva notevolmente la riuscita del prodotto, trasformandolo da blockbuster a elemento di cinema d’autore.
In Gravity, la Dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) affronta una serie di sfide nello spazio, lottando per tornare sulla Terra dopo una missione catastrofica. La prima difficoltà, che dà anche il via al filone principale del film, sarà una pioggia di detriti che si sposta a una velocità di 80.000 km/h. Tuttavia, oltre ai detriti, i fantasmi del passato della Dottoressa Stone porranno dei limiti alla sua stessa volontà. La protagonista più volte si domanderà se valga la pena rientrare in un posto che non riconosce pienamente come casa.
Roma
Grazie al notevole incasso di Gravity, di oltre 716 milioni di dollari, il regista, trovandosi in una situazione finanziariamente stabile, investì per un nuovo progetto: Roma (2018). Considerato come il suo più recente capolavoro, che ha valso a Cuarón tre Oscar, si presenta come un pezzo unico nel suo genere.
Il cineasta nel suo discorso di accettazione alla cerimonia degli Academy Awards, dopo aver ricevuto la terza statuetta dorata della serata, afferma:
“Il nostro lavoro in quanto artisti è di vedere dove gli altri non sanno vedere. Questa responsabilità diventa molto più importante quando veniamo spinti a guardare altrove”.
Roma racconta la storia semplice di una domestica e della famiglia messicana della quale si prende cura. Questo film è un tassello importante per il cinema, in quanto viene portata sullo schermo un’indigena con ruolo di protagonista. Storicamente, questi personaggi sono sempre stati relegati nello sfondo. Alfonso Cuarón ebbe dunque l’occasione e il compito di dare voce a una minoranza e gettare luce su di essa.
Roma ha una valenza molto intima per Cuarón, in quanto lui stesso ha avuto modo di crescere con una domestica per gran parte della sua vita. Il regista dimostra un impeccabile talento, ancora una volta, nel realizzare figure autentiche in tutta la loro umanità.
Il cinema non è un’onda, ma un oceano
L’autore ha terminato la sua presenza al festival di Locarno attraverso questa citazione di Claude Chabrol:
“Il cinema non è un’onda, ma un oceano.”
Si possono trarre diverse conclusioni da queste poche parole, ma Cuarón ne ricava il significato più semplice. Il processo di scrittura e regia di un film può travolgere completamente l’artefice, proprio come un oceano. Di fronte a questa sopraffazione, chi crea un’opera cinematografica può avere la capacità di integrare l’oceano stesso nel proprio lavoro. Il risultato è dato da una contaminazione tra il mondo reale e il vissuto intimo del regista. Come nel caso di Roma, Cuarón ha scritto la sceneggiatura di getto, avvicinando la sua creazione ad un flusso di coscienza, dal quale non si è sottratto.
“È stato come andare in un sanatorio e ricevere un elettroshock… Cos’è successo dopo non lo so, mi sono completamente distaccato emotivamente dalla realtà.”