Al Sicilia Queer Filmfest,in anteprima assoluta, La photo retrouvée di Pierre Primetens. Una toccante e schietta possibile conclusione di una tetralogia autobiografica, avviata a partire dalle sue prime opere. Infatti, se Un voyage au Portugal (2000) metteva in scena il suo ricongiungimento con il paese delle sue origini, se in Des vacances à l’Île Maurice (2005) il tema centrale era il tentativo di riavvicinamento alla figura paterna e se Contre Toi (2008) si concentrava sulla relazione con il proprio partner, in La photo retrouvée tutte queste pulsazioni intime della vita del regista battono all’unisono e dialogano tra loro.
Esplorando le potenzialità espressive del materiale d’archivio, Pierre Primetens, non solo irrompe con qualcosa di estremamente originale nella programmazione del Festival, ma dà prova di un’enorme consapevolezza del mezzo cinematografico. Consapevolezza che, a sua volta, si traduce in una calibrata sperimentazione, che non eccede nell’incomprensione. Primetens regala così un’esperienza visiva differente che, per una serie di motivi, permette a chi osserva di riconoscere il messaggio su cui l’intera opera si sostiene: la ricerca di un’identità e di un proprio posto nel mondo.
Una memoria visiva costruita sul dialogo tra se stesso e la molteplicità dell’altro
Con La photo retrouvée Pierre Primetens ripercorre praticamente tutta la sua vita. Da quando è nato ai continui spostamenti che lo hanno portato dalla Francia al Portogallo, dal Portogallo alla Francia e poi in giro per il mondo, in particolare alle Isole Mauritius. Il regista racconta le avventure intraprese, il rapporto complesso con la famiglia, la propria sessualità, le proprie passioni e le proprie paure. Eppure, qualcosa visivamente non quadra. Il found footage e il montaggio spezzato di Nicolas Bancilhon contribuiscono a fornire un’impressione frammentata al tutto, ma non è questo il punto. C’è qualcosa di non detto, qualcosa di celato. I volti non combaciano sempre, alcuni ritornano, altri scompaiono per non rivedersi più. Le ambientazioni sembrano tradire quanto raccontato, sia da un punto di vista spaziale, che da un punto di vista temporale.
Una risposta a tutto questo c’è. La si intuisce nello scorrere dei minuti, ma solo alla fine si ha la conferma. Con i titoli di coda, si scopre che La photo retrouvée è un elaborato collage di “filmini amatoriali” appartenenti a persone diverse. Riprese in 8mm o in 9,5mm oppure in 16mm collezionate e utilizzate da Pierre Primetens per parlare della propria vita. Cosa si celi dietro questa scelta del regista non sta sicuramente al destinatario affermarlo con certezza, ma è sempre possibile supporlo. L’idea forse più scontata, e anche più profonda, è la volontà di trasmutare nella forma la possibilità di esprimere l’universale attraverso l’esperienza del singolo e viceversa.
La photo retrouvée: un’interessante esplorazione delle potenzialità mediali
La bellezza de La photo retrouvée risiede proprio nella sperimentazione già citata. Pierre Primetens ci ricorda che l’arte trova ulteriore significato nel suo modo di manifestarsi attraverso la tecnica. Nel caso del cinema ha più senso parlare di tecnologia. Il cinema è il frutto estremo di questo rapporto simbiotico tra idea artistica e possibilità, in parte anche scientifiche, di metterla in pratica. Così La photo retrouvée, quasi come una creatura nata su un tavolo da laboratorio, è il prodotto di un curioso procedimento artistico-tecnico. Il “regista-scienziato” Primetens decide di esplorare, portando all’estremizzazione le possibilità del montaggio.
Non solo un montaggio che rapporta tra sé le immagini, ma, ancora di più, che sovrappone immagini e sonoro al fine di creare una molteplicità di significati differenti, lasciati alla libera interpretazione di chi osserva. Guardare La photo retrouvée significa ripercorrere alcune tappe fondamentali: dal montaggio connotativo di Ėjzenštejn alle esplorazioni visivo-sonore di Godard e Tati, per poi andare oltre.
In questo lungometraggio di Pierre Primetens le immagini sembrano scorrere quasi come una sorta di poesia visiva, che trova in parte il proprio senso nella voce narrante dello stesso regista. Perciò, ecco che la storia ascoltata di un litigio familiare si manifesta sullo schermo nella sequenza di una casa che brucia, un bambino assaggia un pesce come il narratore il prepuzio dei compagni o diapositive di bambini che fumano accompagnano la ribellione di chi racconta.
Un film che omaggia diverse forme di cinema
Per sua natura La photo retrouvée è un omaggio a molteplici forme di cinema del passato. Quella più ovvia è il cinema-amatoriale, quello casalingo. Pierre Primetens rinnova l’importanza del ricordo, ma quello microstorico. Che riguarda le persone comuni e la loro storia, che nel lungo periodo definisce la società più dei singoli grandi eventi. La photo retrouvée è perciò sinonimo di rispetto verso ciò che spesso è dimenticato, forse perché ritenuto scontato.
Tuttavia, disseminati qua e là, ci sono anche riferimenti al grande cinema d’autore. Piacevoli citazioni che fanno gola ai cinefili e che, tendenzialmente, dicono molto sulle influenze ritenute importanti per il regista. Non è un caso che all’interno di un’opera che riflette sulle possibilità del mezzo, sono citati proprio alcuni dei registi del passato che, più di altri, si sono fatti portavoce di un’analoga attenzione alle potenzialità del medium. Primetens ci parla letteralmente (a volte ce li evoca visivamente) di Stanley Kubrick, di Luis Bunuel e di Chris Marker, solo per citarne alcuni.
La photo retrouvée non è solo un racconto di vita, ma è esso stesso ormai inserito, come momento necessario, nella vita stessa di cui vuole raccontare.