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In Sala

Zero Dark Thirty

Per dieci anni, un team d’elite formato da membri dell’intelligence e dai militari, unisce le proprie forze e lavora in segreto per catturare e uccidere Osama bin Laden, il Re del Terrore alla guida di Al-Qaeda.

Pubblicato

il

Anno: 2012

Durata: 157′

Genere: Drammatico-Azione

 Nazionalità: USA

 Regia: Kathryn Bigelow

 Uscita: 10 Febbraio 2013

Dodici anni di storia non solo americana, racchiusi nello sguardo di una donna che, testarda, insegue la sua ossessione: scovare e uccidere Osama bin Laden.

L’ultimo Kathryn Bigelow è metafora attraverso la cronaca, ricostruita fiction dall’ispirazione reale e infine testamento, sintesi filmica di un’intera carriera cinematografica che, attraverso la regia di Zero Dark Thirty (2012), cristallizza l’ormai consolidato status hollywoodiano della sua autrice: senza se e senza ma tra i cineasti più influenti dell’America d’oggi; per potere decisionale al pari di David Fincher e Christopher Nolan. Probabilmente l’unica, per credenziali e peso politico, a poter mettere le mani su tale, scottante, materia.

Zero Dark Thirty è il frutto di una mutazione, di un nuovo percorso iniziato all’indomani di K-19 (2002), probabilmente il film maggiormente trascurabile della Bigelow, insapore e inodore, eppure decisivo ai fini di una filmografia che da lì in poi cambia, ispirandosi e, nonostante tutto, ispirando (ogni riferimento alla serie televisiva Last Resort è puramente voluto). K-19 viene utilizzato come trampolino “militare” dalla sua autrice, dopo di lui The Hurt Locker (2008) e quindi Zero Dark Thirty: ovvero il prosieguo e la cristallizzazione di una nuova, raggiunta, maturità. K-19 è la causa che innesca la conseguenza, il “point break” che (ri)genera l’altra Kathryn Bigelow.

Mai prima d’ora ci si era imbattuti, nella sua filmografia, in un personaggio femminile tanto centrale, centrato e pietrangolare, come quello interpretato da Jessica Chastain, cuore e anima di una pellicola per certi versi corale, ma che rintraccia il suo centro d’equilibrio nei tratti di una donna, sola, in un mondo di uomini. Una figura addirittura di un “grado gerarchico” superiore rispetto alla Jamie Lee Curtis di Blue Steel (1990), l’ultima grande eroina alla quale la Bigelow assegnò un ruolo da protagonista. Dopo una maggioranza di pellicole prevalentemente guidate da interpreti maschili, ecco Zero Dark Thirty, storia di una nazione e metafora stessa di una condizione artistica finalmente rivelata e manifesta: la donna più maschia di Hollywood convoca una donna per assegnarle il film della sua vita; Jessica Chastain, protesi di Kathryn Bigelow di fronte la macchina da presa.

Lei come il Jeremy Renner di The Hurt Locker, ricurva sul lavoro, dipendente da esso, inutile senza quest’ultimo. 157′ minuti di indizi, false piste, pugni sul tavolo aspettando una credibilità e una fiducia che tardano ad arrivare. Zero Dark Thirty viaggia su velocità basse, prendendosi e ottenendo il tempo di cui necessita, spostando spesso l’ago della bilancia verso il contenitore del “procedural”, interessato com’è alla ricostruzione del pre, piuttosto che alla celebrazione della missione, la stessa che si consuma fredda, glaciale e orfana di trionfalismi. Rarefatta nelle immagini, ovattata nei suoni.

Gigantesco e ciclopico, Zero Dark Thirty nasconde un solo difetto, che risponde alla gestione della suspense: funzionale nella ricostruzione investigativa dei fatti, decisamente meno quando si vede costretta a misurarsi con l’ingresso nella tana dell’orco. Eppure la sensazione che lascia è quella che solo il grande cinema è in grado di comunicare, certamente qualcosa in più di un “semplice” film. Con tutta probabilità una futura pietra miliare, che vista oggi “si limita” a mettere la parola fine sulle ossessioni, gli incubi, le frenesie e le violenze, subite e inferte da un paese intero.

Luca Lombardini

 

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