L’estate di Cléo (titolo originale Àma Gloria) di Marie Amachoukeli-Barsacq è in sala dal 21 marzo. In Italia, lo abbiamo dovuto aspettare quasi un anno, dalla sua partecipazione alla Semaine de la Critique, a Cannes, nel 2023. Al Sottodiciotto Film Festival & Campus, sempre del ’23, a dicembre, ha ottenuto il premio Generazione futura per il miglior lungometraggio internazionale.
Cast: Louise Mauroy-Panzani, Ilça Moreno Zego, Arnaud Rebotini.
Distribuzione: I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.
Il film rende il privilegio dell’amore assoluto durante l’infanzia. L’intimità che tutti vorremmo sperimentare, che nessuno vorrebbe mai perdere
L’estate di Cléo. Trama ufficiale del film
È un rapporto di affetto sincero e potente, quello tra Cléo, sei anni, e la sua tata, Gloria. Un legame del tutto simile a quello tra madre e figlia. Quando Gloria deve tornare a Capo Verde per prendersi cura della sua famiglia, la separazione è dolorosa. Ma c’è ancora tempo, c’è ancora un momento per stare insieme. Con il permesso del padre, Cléo viaggia fino al Paese natale della sua tata e passa con lei un’ultima estate carica di dolcezza e speranza. Un’esperienza indimenticabile per imparare a crescere e gettarsi con coraggio nell’incertezza del futuro .
(I Wonder Pictures).
L’estate di Cléo. Una storia di maternage
Di coraggio ce ne vuole molto a mettere in scena una bambina ancora così piccola dal primo frammento all’ultimo. E tanta delicatezza a dirigerla in modo da rendere naturali le risate e i pianti, le espressioni corrucciate e spensierate, la voglia di esplorare e di rimanere accoccolata tra le braccia dell’adulta, dell’adulto. Il padre, che si vede poco, sempre e solo nella relazione con la figlia, è tratteggiato come una figura molto amorevole, perché di amore in questo film ne scorre veramente tantissimo.
Cléo abbracciata al padre. Foto del film dal sito ufficiale
Ma Gloria è colei che si prende cura di Cléo, con dedizione, in ogni gesto. Generosa nel gioco, complice, confidente, regala a Cléo un rassicurante maternage, quello che tutti avremmo voluto avere. Con naturalezza, nella simbiosi dei corpi e dell’anima.
Cléo deve compensare l’assenza materna, Gloria la lontananza dai figli. Il bisogno di colmare un’assenza non rende questo amore, però, meno sincero, né una semplice proiezione su altri.
L’estate di Cléo e The quiet girl
Sembrerebbe superfluo affermare che L’estate di Cléo è una riprova di quanto i legami affettivi che contano non siano solo quelli decisi dalle origini. Come per The quiet girl di Colm Bairéad. La ragazzina tranquilla di Bairéad, Cait, è più grande e, rifiutata dalla famiglia, porta sul viso le tracce di un una ferita inguaribile. Ma entrambe vivono un’estate di esperienze nuovissime. Cáit, spaesata nel ricevere amore per la prima volta. Cléo nel viverlo ancora dopo averlo perso e ritrovato.
The quiet girl, avevamo detto qui, sulle pagine di Taxidrivers, è una narrazione di tanti silenzi in cui i pochi dialoghi sembrano emergere da lunghe attese fatte di ascolto. Cléo invece, fin dalle prime scene, corre e ride con tutta l’esuberanza dei suoi pochi anni. E se Colm Bairéad privilegiava la distanza nelle inquadrature, Marie Amachoukeli-Barsacq le costruisce utilizzando così tanti primi piani, della bambina sola e della bambina con Gloria, da creare un’adesione ancora più forte alle emozioni individuali e condivise.
Cléo e la sua visione del mondo
Come se avessimo bisogno anche noi di avvicinarci il più possibile alle cose, come se avessimo la stessa miopia di Cléo, che è peggiorata, a detta dell’oculista durante la prima scena. Che tenerezza i bambini con gli occhiali! Costretti a vivere il contrasto tra la loro grande curiosità del mondo e la vista offuscata.
Cléo e Gloria. Foto del film dal sito ufficiale
Cléo tiene i suoi occhiali con cura, al contrario di Eugenia, nel bellissimo racconto Un paio di occhiali di Anna Maria Ortese. La bambina napoletana arriva a detestarli, dopo che, vedendoci bene per la prima volta, scopre l’inaspettata bruttezza del suo quartiere, ha la nausea e li butta in un tombino. Cléo li indossa con semplicità, fanno parte di lei e del suo desiderio di osservare, come una lente d’ingrandimento che le faccia meglio vedere, conoscere e assaporare tutti i dettagli.
Una lezione di vita
Forse a Capo Verde li avrebbe tolti volentieri, quando avverte che il mondo di Gloria non è fatato come quello di casa. Quando sarà costretta, suo malgrado, a imparare una lezione che neppure gli adulti vogliono accettare: l’amore, quello profondo, non diminuisce dividendolo con altre persone.
La sola idea di perdere l’affetto di Gloria si fa insostenibile, e il racconto prende così un’altra piega. La catastrofe emotiva di Cléo, e qualche sua improvvisa ribellione, fanno temere il peggio. Ma è una svolta narrativa che la sceneggiatura ben calibrata, scritta dalla regista con Pauline Guéna, sa gestire al meglio, così come sa chiudere tutta la narrazione in maniera coerente.
Cléo a Capo Verde. Foto del film dal sito ufficiale
L’interruzione delle animazioni
Alcune scene sono emotivamente più efficaci di altre: una per tutte, quella di Cléo e Gloria che piangono insieme la morte delle loro madri. Anche se siamo già abituati alla loro simbiosi, ci sono momenti in cui si azzerano davvero tutte le possibili differenze, come quelle del gioco, in cui la complicità si fa assoluta.
Chissà con quale intento si sono volute inserire le parti di animazione, che interrompono il racconto! Certo è un modo per trasmettere l’intensità di paure, sogni e pensieri della bambina, visto che i disegni sono proprio quelli che potrebbe fare Cléo. I colori molto intensi, la musica molto alta, la grafica volutamente elementare, se pure esteticamente riuscita, richiamano i traumi infantili sottolineanti da onde immense o eruzioni vulcaniche.
Scene animate troppo lunghe, soprattutto quando vorremmo sapere che ne sarà di Cleo e di Gloria nei momenti più alti del racconto. Un effetto straniante non gradito, almeno da parte di chi scrive.
L’estate di Cléo è, comunque, un bel film. Di quelli che ci fanno uscire dal cinema con le lacrime agli occhi e una commozione che si deposita nella mente e ci rimane, nelle ore e nei giorni successivi.