Mortacci (1989) è uno dei capisaldi della poetica di Sergio Citti. E da molti è considerato un cult, per il variopinto quanto bizzarro cast che lo compone. Doveva essere il grande ritorno al cinema del Pittoretto della Marranella, dopo un lungo periodo in cui fu costretto a lavorare per la televisione. Un ritorno che, però, si rivelò un grosso insuccesso.
Questo sospirato rientro fu molto pubblicizzato nell’estate del 1988, con una ottimistica conferenza stampa – riportata da molte testate giornalistiche – allestita sul set cimiteriale (creato da Mario Ambrosino), in cui si esaltavano l’altisonante cast (Malcom McDowell, Carol Alt, Vittorio Gassman, ecc.) e le usuali doti affabulatorie di Sergio Citti.
Mortacci era un progetto accarezzato dall’autore romano da quasi vent’anni e la prima idea risale al 1969. Quel preistorico abbozzo aveva già questo titolo tanto “imprecante” quanto sardonico e fu suggerito e avallato dallo stesso Pier Paolo Pasolini.
La pellicola si potrebbe definire come una grottesca variante dell’Antologia di Spoon River, nel quale alcuni defunti, deceduti solo corporalmente ma i cui spiriti sono ancora presenti sulla terra (il cimitero) in attesa del definitivo trapasso, raccontano come sono morti.
Questo aspetto del raccontare agli interlocutori, in questo caso gli altri estinti e il pubblico, è alla base del cinema di Sergio Citti. Il piacere di narrare, di affabulare gli astanti sia con aneddoti veri e sia con storie completamente inventate.
Il cimitero diviene la cornice, il contenitore, e si riallaccia alla struttura boccaccesca, che era ben utilizzata in Storie scellerate (1973). Ma in questo caso più che storie scellerate, sono storielle che pigiano sul ridicolo (i personaggi muoiono in situazioni comiche), ma nel quale l’autore romano ha comunque inserito, come suo modo, qualche stilettata.
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Mortacci, le tappe produttive
Come scritto precedentemente, l’idea primigenia risale al 1969, appoggiata con gran favore da Pier Paolo Pasolini. Al momento non ci sono documenti che rivelino che fisionomia avrebbe avuto questo remoto Mortacci, ma si dà per scontato che tra gli attori ci sarebbero stati Franco Citti e Ninetto Davoli.
Qualche informazioni in più si ha sulla “seconda” versione. Nella prima metà degli anni ’80, sebbene Il minestrone (1981) fosse stato un insuccesso, Sergio Citti era riuscito a convincere Mario Cecchi Gori a farsi produrre Mortacci.
In questa versione di mezzo sappiamo che gli attori ingaggiati erano Roberto Benigni, Massimo Troisi e Carlo Verdone. I noti “melancomici” che in quel momento stavano sbancando i botteghini.
Troisi avrebbe fatto l’attore cane, poi interpretato da Malcom McDowell. Verdone il custode, ruolo poi incarnato da Vittorio Gassman. E Benigni? Tenendo in conto che tra i comici di quel periodo era definito lo stralunato folletto, sicuramente avrebbe interpretato il soldatino Lucillo Cardellini, che poi avrà il corpo e l’ingenuità di un ancora sconosciuto Sergio Rubini.
Perché questo progetto non si concretizzò? Con questo trio di attori il successo sarebbe stato garantito. Qui si entra nel campo del gossip, dei rumors.
Innanzi tutto il titolo. Quel Mortacci, strenuamente difeso da Citti, era ritenuto volgare, irrispettoso. C’è poi l’aneddoto che Massimo Troisi, da napoletano verace, fosse scaramantico e ritenesse di male augurio sia il titolo che l’ambientazione.
A ciò si aggiunge che Benigni e Troisi volevano smarcarsi da Verdone, infatti assieme realizzarono Non ci resta che piangere (1984).
Tra il 1987 e il 1988 ecco che Mortacci può vedere la luce (eterna). Nella carriera di Citti si ripresenta Gianfranco Piccioli, produttore di Casotto (1977) e Duepezzidipane (1979). Piccioli è stato certamente il “mecenate” più importante nella carriera dell’autore romano.
È stato quello che gli ha dato la possibilità di realizzare i suoi originali e personali progetti, ma al contempo quello che ha “contaminato” il suo cinema. Da Casotto in poi, le piccole storie di Citti hanno dovuto fare i conti con lo star system nostrano.
E, come in Casotto, Mortacci è ripieno di attori famosi. Da star internazionali (McDowell, Alt, Gassman, Melato) ad attori prelevati dai successi televisivi (Nino Frassica, i fratelli Ruggeri, Andy Luotto), passando per attori in disuso ripescati (Alvaro Vitali, Galeazzo Benti, Donald O’Brien).
E anche in questa terza e definitiva versione, c’è un altro dei rumor. Pare che per il ruolo del custode Domenico fu contattato anche Alberto Sordi. Sarà vera questo aneddoto? Conservandolo come fatterello, sarebbe stato curioso vedere il romano Sordi in un film del borgataro Citti.
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Mortacci 1989
Il Mortacci ultima versione, pertanto, diviene una pellicola riuscita a metà. Quella fulminante idea in cui i defunti restano “in vita” fintanto che qualcuno se li ricorda (dannati saranno quelli che hanno creato qualche proverbio) si scontra con un cast non completamente adatto.
Se Rubini, Benti, Gassman e soprattutto un inedito e formidabile Luotto, si adagiano bene in questi personaggi semplici, non eccedendo in gigionismi o ghirigori recitativi, il resto del cast è fuori luogo.
McDowell è doppiato, senza motivate ragioni, in veneto; Carol Alt, sebbene avesse discrete capacità, è troppo eterea per la parte. Non a caso, Citti avrebbe voluto Francesca Dellera, perché serviva una ragazza burrosa e di poche qualità recitative. Ma alla fine fu Piccioli a spuntarla e inserire nel cast la Alt.
La Melato, Aldo Giuffrè e Vitali si situano nel mezzo. Offrono una prova professionale e Alvaro Vitali è più controllato del solito, ma non restano nella memoria, tanto per rimanere in tema con l’assunto del film.
Mentre il parterre attoriale proveniente dalla Tv, ad esclusione di Luotto, è fuori parte. Anzi, l’episodio dei fratelli Ruggeri pare creato ad hoc. Sebbene Frassica offra la sua miglior interpretazione cinematografica.
A tutto ciò, si aggiunge la riscrittura della sceneggiatura operata da troppe mani. Se Vincenzo Cerami è stato il degno sostituto di Pasolini, in fase di sceneggiatura (Citti era carente a livello di costruzione drammaturgica), Ottavio Jemma era una new entry nel mondo cittiano.
Un abile e vagliato professionista della scrittura, ma completamente avulso dalla realtà di Citti.
David Grieco, stretto collaboratore di Citti sin da Il minestrone (e fino a I Magi randagi del 1996) e soprattutto suo fraterno amico, fu lui il co-creatore dell’episodio di Scopone, ossia del personaggio “gogoliano” interpretato da Luotto. E questo episodio fu l’ultimo a comporre questa definitiva antologia cittiana.
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