Con l’uscita di The Iron Claw, appare strano ma sembra di star vivendo una forte rinascita della moda del wrestling non solo in Italia, ma anche a livello mondiale.
Può essere la presenza sempre più prepotente di celebrità (cantanti, influencer, attori ,ecc.) dedite ed appassionate alla disciplina, o l’acquisizione dei diritti televisivi delle compagnie più prestigiose da parte dei servizi streaming più importanti del mondo, come nel caso di Netflix.
Simbolo di questo revival, nel momento attuale del cinema, diviene così il nuovo film di Sean Durkin (Moneyball, Capote), prodotto da A24: un biopic sulla leggendaria famiglia di lottatori Von Erich, sulla “maledizione” che i Von Erich si sono portati dietro per anni e sulla golden age della storia del wrestling di cui essi sono stati tra i più grandi.
Un film già divenuto popolare grazie alla presenza di uno Zac Efron completamente trasformato per il ruolo (con un discutibile taglio di capelli) ed un cast di star non indifferente (Jeremy Allen White, Harris Dickinson, Holt Mccallany).
Ma lo sport-spettacolo per eccellenza ha avuto già modo di raccontarsi in altre opere ed altre storie, mettendone in mostra ogni aspetto nascosto dalla luccicante facciata che questa disciplina sportiva possiede.
In attesa dell’uscita di The Iron Claw, questi sono tre film sul mondo del wrestling che vi consigliamo di vedere.
The Wrestler (2008) di Darren Aronofsky
Partiamo con una vera e propria gemma, una tra le opere migliori di uno degli autori cinematografici contemporanei più importanti.
Un sontuoso Mickey Rourke diventa Randy “The Ram” Robinson, lottatore che dopo anni di gloriosa carriera è arrivato al capolinea, sia sportivamente che umanamente. A muoverlo sono solamente il flebile legame con la figlia Stephanie (Evan Rachel Wood) ed il brivido che il combattimento sul ring gli dà.
Quello che il film ci permette di osservare è un Randy che non sa stare al mondo, che aldilà delle corde del ring diviene vecchio, raggrinzito, quasi pietoso agli occhi dello spettatore. Ossia l’antitesi di quella gimmick che lo ha reso grande.
The Wrestler è la decadente deriva del sogno americano, un’eulogia all’eroe ormai caduto, vittima di una propria epica ormai vetusta, che lo trascina nel baratro ma il cui malsano attaccamento lo porta anche a rialzarsi vanamente, in continuazione, e a riprovare ancora.
Il tutto in mano alla maestria visiva di Darren Aronofsky e alla grandiosa sceneggiatura di Robert Siegel, che danno alla luce uno sguardo nuovo sul mondo del wrestling, più oscuro, fatto di piccoli sotterfugi e inganni, tutti atti a stupire e sconvolgere sempre di più gli spettatori di questo grande spettacolo, un po’ come fa il cinema da ormai più di un secolo.
Foxcatcher – Una Storia Americana (2014) di Bennett Miller
Qui non si parla propriamente del wrestling come sport-spettacolo, ma ci permettiamo questa piccola digressione per poter raccomandare il film vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2014 e plurime candidato agli Oscar dello stesso anno.
Tratto da un’agghiacciante storia vera, Foxcatcher rende filmica la storia di tre uomini, i fratelli Mark e David Schultz (Channing Tatum e Mark Ruffalo), campioni olimpici di wrestling nel 1984, e John Du Pont (un irriconoscibile Steve Carell), ricco proprietario terriero ed erede della famiglia nobile Du Pont.
Con i suoi enormi aiuti finanziari, John mette a disposizione il proprio gigantesco appezzamento per costruire un’accademia di wrestling e dare vita al Team Foxcatcher, al quale entrambi i fratelli decidono di unirsi, con l’obiettivo di renderlo leggenda.
Qui viviamo un opposto rispetto all’opera consigliata in precedenza. Dallo sport usato come unico appiglio per sentirsi ancora vivi passiamo ad una realtà dove lo sport diviene soffocante, sopraffacente e logorante.
Ciò che sopporta Mark, fratello più piccolo vissuto sempre all’ombra di David, è una delusione dietro l’altra, dove la mancanza di un mentore nella vita privata lo porta alla sconfitta anche negli incontri e negli allenamenti.
Le aspettative di grandezza che Mark porta sulle spalle lo inabissano, e così anche per John, che sente su di sé lo sguardo di una stirpe di cacciatori e bracconieri, pronti ad aggredire ogni preda senza esitazione, per poter mostrare a tutti il ricco bottino.
Tre magistrali interpretazioni ed una fredda e dilaniante regia di Bennett Miller, che mette in scena un tormentato addestramento animale, dove la dimostrazione di forza è potere e dove l’assenza di potere può essere fatale.
Super Nacho (2006) di Jared Hess
Da due pellicole fortemente drammatiche passiamo ad opera molto più scanzonata e ridicola, in un’accezione ovviamente positiva.
Super Nacho racconta le avventure di Ignacio Benitez (Jack Black), cuoco monaco del suo paesino che, per finanziare il monastero sempre più derelitto, decide di mettersi calzamaglia e maschera e diventare Nacho, il lottatore mascherato “temuto” da tutti. Insieme al fidato vagabondo Esqueleto (Hector Jimenez) vedranno delle belle botte e ne prenderanno altrettante.
D’altronde il wrestling è anche spettacolo e la sua naturale evoluzione lo ha portato ad essere più incline alla commedia, spesso ai danni proprio di se stesso.
L’autoironia è un carattere fondamentale non solo della disciplina ma anche del singolo, dal lottatore allo spettatore, che riconoscono nel wrestling il suo lato più bizzarro e ne accettano ogni stranezza.
Super Nacho è l’esempio perfetto di questa autoironia. Di per sé il film non risplende per la sceneggiatura, la regia o la recitazione raffinate o di alto profilo intellettuale.
Un po’ come gli spettacoli di wrestling di provincia, la dolcezza del film sta proprio nelle sue brutture, nelle sue imprecisioni.
La regia di Jared Hess, una versione più rurale di un primo Wes Anderson, e la sua sceneggiatura scritta a sei mani danno libero sfogo a performance corporee sempre più bizzarre, sia negli scontri sul ring che in ogni momento slap-stick comedy in giro per il piccolo paesino messicano.
In tutto il film volteggia una ilare e sorridente leggerezza, rappresentata da un eccentrico Jack Black e che permette allo spettatore di divertirsi come un matto anche delle più imbranate gestualità.
Un film che apertamente vuole sollevare il morale, intrattenere ed essere grottescamente spassoso, un po’ come quella disciplina che da ragazzini ci ha tenuti attaccati al televisore ore ed ore.