Gianluca Manzetti firma la regia di questo Roma Blues, proiettato al Sudestival e ora al cinema con Art film Karos.
Il film colpisce per qualità tecnica e costruzione narrativa cara al mondo generalista, che però falliscono nel raccontare una new age romana, confondendo l’outsider con il mainstream e il blues con il pop, cercando di raccontare un nuovo cinema noir che in realtà è pura sit com per ragazzi alla Toy Story.
Introduzione
Quest’introduzione è doverosa perché il cinema italiano, anche quello per i nostri ragazzi, deve aspirare al meglio delle sue possibilità, sviluppando una narrazione meno mediata da editori e più aderente ai linguaggi delle nuove generazioni che escano dal cliché della solita Roma Capitale, che impone un immaginario semplicistico e pomposo e poco spesso incapace di lavorare per sottrazione.
Peccato davvero perché i primi cinque minuti di Roma Blues sono davvero ben realizzati. Trasportano lo spettatore visivamente in America e la bella faccia impertinente del protagonista, Al (Francesco Gheghi), sulle note di un indimenticabile Fred Buscaglione e il suo chicken style riportano al buon rock blues degli anni ’50.
Il blues è passione autentica non sit-com
La musica, citando B.B. King (che è presente in un manifesto nella camera di Al), era una passione autentica. Ed è un peccato che rispetto all’apertura piano piano questa passione inizialmente ben raccontata svanisca (solo perché la band di Al smette di fare le prove?). E lasia il posto al compitino di un piccolo detective che deve risolvere un caso di omicidio (o un’abbaglio?) dando al film un assetto da sit com. L’arrivo della bella Betty (Mikaela Neaze Silva – ex velina di Striscia la Notizia) aiuterà a risolvere l’enigma finale, incontrando personaggi sgangherati e a volte immotivati come il giardiniere presunto killer. Che non fa altro che pisciare per strada in una Roma già sommersa dai rifiuti.
Roma Blues | Non tutti i monopattini sono uguali
Al e Betty sfrecciano per la città a bordo di una scassata e non catalitica Fiat Barchetta, anche se probabilmente per un bilanciamento ecologista verso metà del film i due protagonisti decidono di inseguire i cattivi tra cantieri e vicoli della città eterna a bordo di un monopattino elettrico firmato Helbiz.
E pensare che nella stessa Roma un anno fa Mathieu Amalric a bordo di un monopattino urlava ad un divertito Nanni Moretti: “Il tuo è un film sovversivo!” raccontando una città mutata da quando il regista la osservava 30 anni prima in Caro Diario a bordo di una Vespa 125 blu (che oggi possiamo ammirare proprio al Museo del Cinema di Torino).
In conclusione, Roma Blues non è un film sovversivo né tantomeno outsider. Non ci sono nuovi detective o femme fatale, né musica blues o locali romani che raccontano i sogni e le trasgressioni delle nuove generazioni, ma un sano intrattenimento made in Roma.
L’esperimento di evocare un nuovo genere noir a colori fallisce e l’epilogo diventa un vero far west per turisti, dove un convulso manipolo di personaggi mal caratterizzati si ritrova a sparare in aria veri colpi di pistola che feriscono anche lo spettatore. Davvero un peccato.
Scopri l’intervista al regista e protagonisti di Roma Blues sul portale di Rai Cinema