In concorso al Torino Film Festival 2023 tra i documentari italiani c’è anche l’esordio alla regia di un lungometraggio di Matteo Russo che propone il suo Lux Santa.
La tradizione e il mito di Santa Lucia narrati attraverso le gesta degli adolescenti del rione Fondo Gesù di Crotone sono al centro del Lux Santa di Matteo Russo, prodotto da Naffintusi, in collaborazione con Rai Cinema con il supporto di Fondazione Calabria Film Commission.
Proprio del suo Lux Santa abbiamo chiesto qualcosa a Matteo Russo che, attraverso la tradizione e il mito di Santa Lucia ha raccontato il lavoro dietro l’opera cinematografica da lui realizzata.
Lux Santa di Matteo Russo
Vorrei partire dall’inizio, ancora prima del momento in cui si vede la prima immagine. Si sente subito il suono del fuoco con la citazione iniziale. Una citazione che non è una dedica e non è una frase casuale, ma una sorta di chiave di lettura e quasi morale del film.
Hai colto benissimo. Quelle di cui parli sono le spizzule e sono quelle scintille che il fuoco manda verso il cielo quando accendi un falò. Quello è il succo del film perché quei ragazzi che racconto sono proprio spizzule che sono pronte a diventare stelle. Quindi sì, quella frase è la morale del film, o comunque il messaggio chiave della struttura narrativa.
Più che un documentario a tutto tondo mi sembra che Lux Santa sia costruito come un film di finzione. Il modo in cui mostri i protagonisti nella loro quotidianità e nel momento in cui sono insieme sembra quasi scritto da uno sceneggiatore. In un doppio senso, sia nel senso che la loro vita, talmente è assurda, che risulta quasi di finzione, sia nel senso che non lasci niente al caso e riesci sempre a creare dei legami e dei collegamenti. Mi viene in mente, per esempio, la ripresa del chiodo iniziale che è poi la base di quello che i ragazzi del gruppo faranno. Tutto ruota intorno a loro e alla preparazione della festa.
Quando parlo del film, anche con il produttore, mi dico sempre che lo stile che ho deciso di utilizzare è abbastanza ibrido. Ho cercato di eliminare quella barriera tra soggetto e oggetto e ho cercato di usare uno stile cinematografico e non troppo documentaristico rimanendo sul fatto che tutto quello che c’è nel film è vero, c’è poco di costruito. I ragazzi sono molto bravi e nella loro vita sono così, a volte sono più spettatori che persone. A me piaceva creare questo: mettere lo spettatore davanti a un film che nel momento in cui lo vede rischia anche di dire “ma questa situazione è costruita o è vera?” rimanendo sempre sul presupposto che è comunque tutto vero.
Poi ovviamente il chiodo e la struttura piramidale sono la loro vita. Loro costruiscono questa piramide che poi devono bruciare, ma è anche intorno che si costruiscono le loro vite e le vicende che li portano al cambiamento e alla riflessione. Ho deciso di dirigere Lux Santa perché anche io, quando ero piccolino, facevo i fuochi di Santa Lucia e la prima cosa che si cercava di recuperare o di sgraffignare ai cantieri erano proprio i chiodi e i martelli perché sono gli strumenti fondamentali. Poi è ovvio che dietro questo simbolo di costruzione pratica c’è anche il simbolo di costruzione della loro vita e delle loro vicende. Più cresce la piramide più cresce la consapevolezza nei confronti della loro vita, aiutata anche dall’assenza di questi adulti che si vedono e non si vedono o che comunque spiegano solo ai loro figli come non sbagliare e non fare gli stessi errori che hanno fatto loro.
Personaggi, luci e ombre
A tal proposito ho apprezzato molto il fatto che rimani sul vago riguardo i protagonisti. Siamo immersi nella storia con loro come se fossimo parte del gruppo, come se fossero nostri amici. Anche il rito, che non conoscevo, viene sviluppato nel corso del film, insieme alla vita stessa dei protagonisti. Non si conoscono anticipatamente le varie tappe della cerimonia.
Volevamo semplicemente raccontare la tradizione di Santa Lucia che prevedeva anche la parte spirituale, ma ci siamo resi conto che non aveva senso mostrarla. Anche perché i ragazzi non sono colpiti da questa tradizione, loro la portano avanti più per affermarsi con il proprio quartiere o tra di loro. Abbiamo abbandonato l’idea di raccontare dal punto di vista antropologico la tradizione dei fuochi di Santa Lucia per raccontare invece il più possibile le vite di questi ragazzi, quindi di conseguenza abbiamo deciso di abbandonare la spiegazione perché è inevitabile che questi aspetti te li raccontano i ragazzi e le immagini.
La mia scelta è stata mettere la mdp in mezzo a loro, in maniera molto attaccata rispetto a un classico documentario con immagini un po’ distanti. Lì ho preferito usare un linguaggio funzionale a quello che volevo raccontare. Sono loro stessi che si raccontano tutto, poi viene tutto in automatico.
La tradizione vuole che con questo rito si ridia la vista alla Santa. In effetti è come se, attraverso questo rito, aprissero gli occhi anche i giovani protagonisti, cupi nelle loro case, nelle loro vite e nella loro quotidianità, ma in grado di illuminare e illuminarsi nel momento in cui sono insieme e lottano per un obiettivo comune. Anche perché nella maggior parte dei casi si incontrano e preparano la struttura di sera/notte, quindi hanno bisogno di luce.
Lavorando col fuoco ho capito che avevo a che fare con un elemento incredibile che è la luce. Una cosa fondamentale che volevo raccontare era che questa luce può un minimo illuminare le loro vite buie. Motivo per cui, per tutto il film, decido di raccontare i ragazzi illuminando il quartiere e le loro vite.
C’è questo gioco tra luce e buio che è l’elemento su cui ho voluto puntare tantissimo. Anche con Andrea Manenti, il direttore della fotografia, abbiamo fatto una scelta precisa: cercare di usare a livello di tonalità delle immagini azzurrine per tutto il film per poi andare in una parte super calda quando c’è il fuoco, quando accendono loro la piramide.
In relazione a questa tua risposta ci sono effettivamente vari momenti significativi in questo senso. C’è, per esempio, un dialogo tra due ragazzi lungo il fiume che ha colori più saturi (questo azzurrino di cui parli) ed è quasi una confessione, una parentesi nella costruzione della festa. Poi non so se c’è anche il discorso relativo al fatto che, come detto prima, loro si incontrano spesso la sera, è dicembre e quindi è buio prima…
Quando abbiamo fatto ricerca con Carlo Gallo, il collega con il quale ho scritto il film, ci siamo resi conto che questa tradizione, questo fuoco e questo loro lavorare a questo rito diventava un po’ il luogo della confessione, un avamposto dove poter confessare le proprie paure ai propri compagni, o comunque potersi confrontare rispetto alle situazioni familiari. Quindi sì, il fiume è una parentesi che ritorna più volte; è un luogo dove i ragazzi si ritrovano a fine lavoro.
Le tematiche di Lux Santa di Matteo Russo
Mi verrebbe da dire che il documentario è anche un confronto tra generazioni. Lo si vede nel momento in cui si rapportano con chi un tempo di occupava di questo. Accanto all’altro tema (quello dell’amicizia), c’è anche questo aspetto. Quasi come se Lux Santa fosse un romanzo di formazione.
Sicuramente c’è il confronto tra generazioni diverse, tra quelle che hanno sbagliato e quelle che non hanno voglia di sbagliare. Le tradizioni vengono portate avanti dai giovani, ma sotto le istruzioni dei più grandi. Quindi è inevitabile che, anche avendo conosciuto Sergio, l’anziano che si vede dialogare con i ragazzi come se vegliasse sulle loro vite e sui lavori del fuoco, abbiamo capito che potevamo mettere a confronto due generazioni diverse. Generazioni che hanno e hanno avuto vite diverse. Gli adulti che si vedono in questo film parlano esclusivamente dei loro errori, a differenza dei ragazzi che, invece, cercano di captare da quegli errori quello che c’è di sbagliato e poi trarre le proprie scelte.
Poi c’è anche l’amicizia, è inevitabile. E il destino ha voluto che mentre stavano costruendo questo fuoco i due protagonisti abbiano avuto un litigio e da lì in poi questo tema si è rafforzato ancora di più. Anche perché è inevitabile che in una comitiva di giovani che hanno dai 15 ai 17 anni, un litigio può andare a influire su tutto il resto del gruppo, anche se, come l’adolescenza ci insegna, alla fine tutto passa grazie a un chiarimento. Ce lo dimostrano questi due protagonisti, come poi fanno pace e si abbracciano sotto il fuoco, raccontando che la cosa che conta alla fine è essere uniti.
Speranza e illusione
Infatti alla fine quello che arriva è una sensazione di speranza.
Sono contento che arrivi questo. So bene che il film può non andare in questa direzione. Invece nelle ultime immagini ho cercato di esprimere un messaggio di speranza. Perché comunque c’è anche da dire che questi ragazzi crescono in un contesto che si comprende anche dalle immagini. Si capisce che non è un quartiere altolocato e quindi è un contesto ostile e difficile, un mondo a parte. Io, quando sono arrivato in quel quartiere mi sentivo estraneo, anche se è dietro casa mia. Crescere in un contesto così difficile è ovvio che non rende scontato il decidere di non fare gli stessi errori dei genitori o di un adulto. Sono contesti particolari e complessi.
Secondo me, poi, sei stato bravo nel creare una sorta di illusione di fine. Mi è piaciuto molto il fatto che, senza fare spoiler, alla fine del rito la ripresa sembri strizzare l’occhio a quella iniziale, come a chiusura di un cerchio, rendendo tutto perfetto e positivo. Anche se in realtà poi la storia continua.
Ho giocato con queste immagini che ho messo all’inizio e alla fine. All’inizio le ho messe in maniera poetica per raccontare la morale del film. Poi c’è un secondo momento in cui non si sa ancora se loro sono pronti a diventare spizzule, stelle. Poi nel finale, grazie a queste sequenze di speranza, racconto di come forse adesso sono pronti. Si potrebbe quasi dire che il film è diviso in atti dove, grazie a queste immagini, racconto il loro cambiamento.
La musica e i suoni
Un’altra cosa che ho notato è il fatto che c’è anche un evidente contrasto tra il silenzio e i rumori dei lavori. Scegli di non ricorrere all’uso della musica, ma fai parlare le immagini.
Anche in fase di scrittura ho detto che un elemento fondamentale che doveva accompagnare lo spettatore in questo film dovevano essere i silenzi di questi personaggi. Anche perché mi sono trovato a lavorare con dei non attori e quindi è anche difficile gestirli. Essendomi trovato davanti questi volti, importanti, profondi, pieni di dolore abbiamo lavorato molto sui silenzi.
Proprio con Carlo, che è attore e ha fatto da coach ai ragazzi ed è stato fondamentale non solo in fase di scrittura, ma anche nel girato, abbiamo cercato di farli evitare di parlare. Grazie al silenzio loro raccontano molto più delle parole.
E per quanto riguarda la musica, con Ginevra Nervi, abbiamo lavorato sui momenti essenziali del film. La musica c’è all’inizio, nei momenti di confessione, al fuoco e nel finale. Volevamo rafforzare quei momenti che chiudevano un ciclo o che ne aprivano un altro. Poi la musica abbiamo cercato di usarla sulla presa di coscienza, quando veniva affrontata la tematica dei padri, del dolore, della famiglia. La forza di questi ragazzi è proprio il silenzio.
Lux Santa di Matteo Russo al Torino Film Festival 2023
Lux Santa è a Torino in concorso. Quali sono le tue aspettative? Hai già in mente qualche progetto futuro?
Cerco di arrivare sempre con i piedi a terra in queste situazioni. I documentari selezionati a Torino hanno degli autori importanti, di alto livello. Mi fa piacere condividere la selezione con degli amici perché alcuni li conosco. Vediamo che succederà perché questo film mi sta regalando molto anche perché è il mio primo esordio al lungometraggio.
Per quanto riguarda i progetti futuri sto preparando un altro documentario sempre girato in Calabria, sempre su una tradizione popolare, poi sto lavorando a un lungometraggio di fiction, e poi sono anche direttore artistico di un festival.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli