Anno: 2011
Distribuzione: VIDEA-CDE
Durata: 94′
Genere: Drammatico/Fantascientifico
Nazionalità: Spagna
Regia: Kike Maillo
Per arrivare a questo scopo, immaginammo una statua organizzata internamente come noi, e animata da uno spirito privo di ogni specie di idee. Supponemmo anche che l’esterno, tutto di marmo, non le permettesse l’uso di nessuno dei suoi sensi, e ci riservammo la libertà di aprirli, a nostro arbitrio, alle differenti impressioni delle quali sono suscettibili. Credemmo di dover cominciare con l’odorato, perché fra tutti i sensi è quello che sembra contribuire di meno alle conoscenze dello spirito umano. Gli altri furono oggetto delle nostre ricerche in seguito, e dopo averli considerati separatamente e insieme, vedemmo la statua diventare un animale, capace di vegliare sulla propria conservazione. Il principio che determina lo sviluppo delle sue facoltà è semplice, lo racchiudono le stesse sensazioni: infatti, essendo tutte necessariamente piacevoli o spiacevoli, la statua è interessata a godere delle une e a sottrarsi alle altre. Ora, ci si convincerà che questo interesse basta per dar luogo alle operazioni dell’intelligenza e della volontà. Il giudizio, la riflessione, i desideri, le passioni, ecc., sono soltanto la sensazione stessa che si trasforma differentemente. Perciò ci è sembrato inutile supporre che l’anima derivi immediatamente dalla natura tutte le facoltà delle quali è dotata. La natura ci dà organi per avvertirci col piacere di ciò che dobbiamo cercare e col dolore di ciò che dobbiamo evitare. Ma si ferma là e lascia all’esperienza la cura di farci contrarre abitudini e di terminare l’opera che ha cominciato […].Avverto dunque che è importantissimo mettersi esattamente al posto della statua che osserveremo. Bisogna cominciare a esistere con la statua, avere soltanto un senso quando essa ne ha uno soltanto; acquistare soltanto le idee che acquista, contrarre soltanto le abitudini che contrae: in una parola bisogna essere soltanto ciò che essa è. La statua giudicherà le cose come noi solo quando avrà tutti i nostri sensi e tutta la nostra esperienza; e noi giudicheremo come lei solo quando supporremo di essere privi di tutto ciò che le manca. Credo che i lettori che si metteranno esattamente al suo posto non faticheranno a capire quest’opera; gli altri mi opporranno difficoltà innumerevoli.
(É. B. de Condillac, Opere, UTET, Torino, 1976, pagg. 341-342 e 350)
Eva…per antonomasia (accantonata la querelle intorno all’originale Lilith) il nome della prima donna plasmata e messa in circolazione dal Massimo Fattor…
Eva la cui …saggezza (la wisdom contenuta nel titolo del celeberrimo romanzo di Mary Orr) conduce a strappare il ruolo di diva teatrale detenuto da Margo Channing, conquistando, letteralmente, il podio di “primadonna” in All about Eve, capolavoro ineguagliato/bile di Joseph Mankiewicz.
Eva primo “robot libero” completamente autosufficiente in grado di “crescere” e “vivere” come un normale essere umano, risultato di un esperimento taciuto, ma andato avanti di nascosto, aggirando i rigidi controlli delle sedi scientifiche deputate all’invenzione e perfezionamento di oggetti meccanici e androidi, nonché piccola protagonista del primo lungometraggio di Kike Maillo, nelle sale italiane a partire dal 31 agosto distribuito esattamente dopo un anno dal primo passaggio alla Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia.
Eva primo film interpretato dalla bravissima e magnetica Claudia Vega, poco più che bambina, dotata di un talento visibilmente straordinario.
Una serie di primati per una pellicola che, a differenza del consueto breve tempo di ripresa dei prodotti spagnoli, è stata girata in undici settimane per garantire un “lavoro fatto bene”, impresa realizzata con dovizia e acribia evidenti dall’inizio alla fine in un connubio di gusto classico concernente sia le immagini configurate delicatamente e poeticamente sia l’evoluzione della trama fantascientifica tanto quanto sa essere la normalità stupefacente e sorprendente del quotidiano.
«Cosa poteva fare un cieco come Omero se non scrivere?…» pare si sia domandato Borges che quando sognava affermava di non esser, di fatto cieco, ovvero di “vedere “benissimo …
Allo stesso modo, per Eva la dichiarazione citata potrebbe essere parafrasata e riferita alla bambina protagonista con conseguente risposta lapalissiana: «Cosa può fare un robot se non vivere come un essere umano?»
Il grado di evoluzione degli oggetti meccanici dotati di parola e movimento che convivono nel film insieme ai loro creatori umani e agli altri comuni mortali, integrati alla perfezione nella vita quotidiana, è giunto ad un passo dalla perfezione e, infatti, dopo continui esperimenti in laboratorio e all’aperto miranti alla risoluzione dei problemi connessi al dispendio di energia e all’acquisizione di memoria emotiva, è prevista la “nascita” del primo bambino-robot destinato non a rimanere in un eterno stato infantile, ma a crescere esattamente come un coetaneo in carne ed ossa ovvero ad avere una storia composta da passato, presente e futuro.
Eva entra in scena quando Alex Garel (interpretato da Daniel Brühl), scienziato tornato in patria dopo un lungo periodo di lavoro trascorso in Australia, è intento ad osservare e studiare il comportamento dei bambini di sesso maschile per individuare un modello, un originale sul quale costruire la copia meccanica: un cappotto rosso sgargiante, un corpo libero, dinamico, in moto perpetuo alle prese con corse e giochi nella neve e poi…a poco a poco quello sguardo fiero, vispo, intelligente di fronte al quale non si passa senza rimanere estasiati da tanta meraviglia.
Nessun côté pedofilo, sia ben chiaro, come la stessa arguzia della bimba, dinnanzi ad uno sconosciuto che inizia a conversare con lei, per caso scendendo dalla sua auto, potrebbe far credere, ma semplicemente l’attrazione per aver avuto il privilegio di incontrare e godere di uno sguardo parlante e pieno di vita, come l’alito, menzionato nella Bibbia quale unica origine del mondo:«Dio creò l’uomo, soffiò in lui un alito di vita, ed egli divenne un essere vivente».
È deciso: se da un bambino qualunque si sarebbe giunti ad un robot qualunque, Eva, una bambina, contrariamente all’indirizzo delle ricerche fino a quel momento compiute, immetterà, tramite Alex, il suo soffio, nella nuova creatura di bulloni e microchip, in gestazione.
Tuttavia, la complicazione della trama deriva da un improvviso concatenarsi di scoperte da parte del protagonista costretto a rimettere in discussione il suo passato, le proprie scelte professionali, l’antico amore per una donna, Lana, ora compagna del fratello David nonché madre, genitrice, inventrice e creatrice di …Eva.
Poiché il film merita di esser visto, per l’originalità del trattamento, in senso tecnico, di un tema ormai abusato al cinema come il rapporto uomo-macchina raccontato, per modo di dire, ovviamente, attraverso il potenziamento di straordinari effetti speciali e della visione tridimensionale, chi scrive preferisce affrontare la pellicola evidenziandone altre qualità.
Come accennato in precedenza, Eva coniuga con maestria stupefacente per un lungometraggi/opera prima la precisione tecnica degna di un lavoro maturo e consapevole (impresa non soltanto possibile, ma raggiunta a pieno, in Francia nel 2007 dalla pluripremiata regista Mia Hansen-Løve con l’esordiente Tout est pardonné e in Italia nel 2011 da Cavalli di Michele Rho), la semplicità intesa, per meglio dire, come gradualità nel decollo di una trama fantascientifica, ma perfettamente futuribile, in cui nessun elemento inumano è estraneo alle vicende dei comuni mortali, con temi ancestrali protagonisti di miti, suggestioni, leggende tradotte in seguito anche in opere artistiche, letterarie e cinematografiche.
Il rapporto tra lo scienziato Alex e il robot Eva non diverge con le dovute cautele del caso da quello intercorso tra Pigmalione e Galatea, o ancora tra Nathanael, Olympia di cui alla fine, dopo essersene innamorato scoprirà la natura di automa, il fisico Spalanzani e la figura « diabolica » dell’ottico Coppelius nel racconto di Hoffmann, ma evocare le vicende intercorse tra dottor Jekyll e Mister Hyde è d’obbligo, così come tra il mostro Frankestein e Victor, il Dottor Caligari e lo schiavo Cesare, ecc…
Tuttavia, la normalità, la semplicità, l’assenza di qualsiasi elemento terrificante in maniera eclatante in grado di disturbare e perturbare la visione appare l’arma vincente del film: ci furono età della Storia in cui la fantasia e la fede pagana giustificarono, rendendola fededegna, l’esistenza dei centauri, dei minotauri, di esseri “umanoidi” perfettamente integrati con l’ ambiente di appartenenza e che lungi dallo spaventare malcapitate ninfe intente, nude a fare il bagno o cibarsi per ragioni di potere di fanciulle e fanciulli, simboleggiavano in primis il “doppio” invisibile insito in ognuno di noi.
Eva non rappresenta perciò un ammasso di bulloni, ma la traduzione speculare, di un’idea, un progetto fortemente autoriale, a cui viene concessa una libertà limitata, vincolata alla conferma delle proprie ipotesi e teorie infatti nel film la scoperta della verità svelata come un terribile segreto in grado di conferire ulteriori sfumature al genere della pellicola e al lavoro registico di Kike Maillo, avviene alla fine in maniera straziante: fino agli ultimi minuti si è portati a credere che la bambina sia umana e figlia naturale di Alex e della scienziata Lana.
D’altronde Alex, come se le affinità elettive funzionassero anche tra carne, sangue e microcip, aveva sostenuto fortemente che dall’osservazione di un bambino comune, sarebbe derivato un robot identico e banale: la scelta di Eva si presenta irremovibile e vira l’atto del ri-conoscersi, dello specchiarsi, del rinvenire un altro sé stesso in un essere femminile, una bambina e potenziale donna adulta con pensieri, emozioni, sensazioni “di genere”.
«La vera nascita è la seconda nascita» afferma Pasolini in Petrolio in cui il protagonista Carlo ri-nasce, ossia di sdoppia, ma in un corpo di donna …
Le questioni sollevate nel film sono più complesse di un confronto tra il grado di autosufficienza di un robot e la sua vicinanza, in termini di progresso scientifico, all’uomo e soprattutto non paragonabile ai giochi sparsi tra le pagine della settimana enigmistica miranti ad individuare le differenze tra due immagini perfettamente, all’apparenza, uguali.
Eva resterà un robot e si comporterà come tale ribellandosi alla genitrice fino a causarne la morte perché desidera conoscere la sua storia, il segreto della propria origine nel ventre di un ben poco materno laboratorio. Il carattere intelligente, amabile, interessante così differente da quello dei coetanei riceve una spiegazione, frutto di una prospettiva di evoluzionismo kantiano, in cui però i ruoli nei meccanismi di qualsiasi tipo di invenzione/creazione ecc… non hanno subito modifiche.
La realtà delle immagini deflagra in una frase terribilmente romantica e sembrerebbe innocua con cui spegnere per sempre alias uccidere il robot che ha osato indossare ali di cera e farsi sorella di Icaro per toccare il sole.
«Cosa vedi quando chiudi gli occhi?»…occhi che soltanto se aperti sul mondo possono stabilire delle relazioni e mantenere un ponte con la vera vita degli esseri umani.
Attraverso quelle fessure in grado di percepire dimensioni e colori transita il soffio divino…
Ad occhi chiusi, nel cervello umano, restano attive la memoria, la capacità di rielaborazione durante il sonno e i sogni, che i robot ed anche Eva (ancora) non posseggono, né sono in grado di acquisirle mettendo in pratica, al contrario, però, l’aforisma vichiano per cui «l’immaginazione è memoria dilatata».
La possibilità di indagare su temi come il neoumanesimo, il lavoro dell’attore che tenta di essere o ri-produrre un individuo di cui non ha memoria, il libero arbitrio, l’etica e la liceità di qualsiasi scelta privata o collettiva ecc…rendono Eva una variante originalissima anche grazie alla scelta del capolavoro Le mille e una notte nel momento di massima tensione in cui Eva muore ovvero viene uccisa, sottoposta, stricto sensu, ad eutanasia dalla “formula magica” pronunciata in un abbraccio gelido da Alex.
Altre due scene madri meritano infine di essere annoverate: alcuni giovani studenti sono sorpresi dal protagonista a “torturare” fino all’impazzimento un cavallino meccanico in tutto simile a quelli a dondolo, sottoponendolo ad uno sforzo vergognoso e le inquadrature dei movimenti delle zampe riprese in dettaglio riconducono ai quadri di Degas dedicati agli ippodromi fino alle fotografie celeberrime di Muybridge inerenti al galoppo; tutte le informazioni cerebrali sono contenute in una minuscola biglia color ambra che lo scienziato protagonista, sfiorandola con le dita, “apre” in aria e non su uno schermo di computer, prelevando all’occorrenza quanto desidera inserire nel robot in una costruzione prossima, a saggiare, ossimoricamente la libertà-finta vita e vera morte-di oggetto sensibile.
Mariangela Imbrenda